MISSIONE NEGLI USA

Diplomazia la parola d'ordine per Draghi

di Antonio Troise

Il vertice americano fra Joe Biden e Mario Draghi si è giocato sul filo di un difficile equilibrio. Una prova del fuoco per Super-Mario, abituato da sempre a utilizzare con più dimestichezza la cassetta degli attrezzi della grande finanza internazionale e poco, o addirittura niente, quella della geopolitica mondiale. Eppure, per una serie di circostanze storiche, oggi l’Italia si trova a essere l’alleato più affidabile degli Stati Uniti sull’altra sponda dell’Atlantico. I tentennamenti della Germania nei rapporti con Vladimir Putin, le fibrillazioni elettorali di Emmanuel Macron, il silenzio della Spagna e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea hanno consegnato nelle mani dell’ex banchiere centrale l’onore, ma anche l’onere, di essere in questo momento un partner insostituibile per Washington. E, in ogni caso, l’unico sui cui fare davvero affidamento. Tutto bene, naturalmente: nessuno mette in discussione la collocazione dell’Italia sul fronte occidentale e, soprattutto, nella Nato. Ma questo non significa, per il nostro Paese seguire pedissequamente le indicazioni della Casa Bianca, anche al di là delle richieste che sono arrivate ieri dal presidente americano: maggior impegno militare dell’Italia a sostegno di Volodymyr Zelensky e potenziamento della nostra presenza a Est del Vecchio Continente. Due temi sui quali Draghi sa bene che deve affrontare anche un fronte interno, con i mal di pancia dei partiti della maggioranza ostili a una corsa al riarmo.

Polemiche che non possono essere superare da nuove concessioni americane sul fronte dell’energia. La partita, in realtà, è molto più ampia. La vera posta in palio della guerra in Ucraina non è soltanto il destino di un Paese grande e importante posto nel cuore dell’Europa, ma l’intero equilibro mondiale, con i nuovi rapporti di forza fra le tre superpotenze che si stanno contendendo il primato planetario: Russia, Cina e Stati Uniti. Nello scacchiere internazionale la voce e il ruolo del Vecchio Continente continuano a essere molto marginali, soffocati dalle divisioni ma anche da decenni di afonia sui tavoli che contano davvero, dove si decidono le strategie mondiali. La mission, quasi impossibile, di Mario Draghi, sarà quella di trovare un punto di caduta fra le spinte belliche degli Usa e la necessità di arrivare al più presto a una tregua e a una reale trattativa tra russi e ucraini che porti la pace sull’altra sponda (rispetto a Washington) dell’Atlantico. Il premier italiano, fin dal primo colpo di artiglieria in Ucraina, ha sempre detto che la nostra linea di politica estera coincide con quella dettata da Bruxelles. Ora dovrà dimostrare sul campo di essere capace di tornare allo spirito del «whatever it takes», il celebre slogan che coniò quando era alla guida della banca centrale a Francoforte per salvare l’euro. Per farlo dovrà inevitabilmente indossare l’abito del diplomatico, parlare il linguaggio della politica e spingere il presidente Biden sulla strada di una ripresa del dialogo con Putin per evitare la pericolosa deriva di un conflitto mondiale.

Suggerimenti