editoriale

Domande sbagliate nelle sedi sbagliate

di Giorgio Perini

Le notizie che ci sono arrivate dal vertice di Stoccolma dell'Eurogruppo (i ministri delle finanze dei 27 Stati membri Ue più i vertici della Banca centrale europea e del Mes), in particolare sui «niet» ricevuti da Giancarlo Giorgetti, possono prestarsi alla solita narrazione dell’Europa matrigna con l'Italia, ma sono solo l’inevitabile conseguenza del pressapochismo con cui (non solo) questo governo a volte affronta gli affari europei. Innanzitutto, non ci si presenta agli appuntamenti europei chiedendo agli altri di fare i compiti al nostro posto, soprattutto quando ci siamo infilati da soli in un vicolo cieco. È quello che ha fatto il ministro Giorgetti chiedendo «una novità» per giustificare il dietrofront del governo sul Mes davanti al Parlamento italiano, dopo aver sventolato in campagna elettorale lo spauracchio della troika pronta a commissariare il nostro Paese. Ovviamente ha ricevuto un rifiuto, innanzitutto perché il Mes non può più essere modificato (magari per trasformarlo in un non meglio precisato «veicolo per la crescita» come avrebbe ipotizzato il ministro) dopo che tutti gli Stati membri tranne l’Italia lo hanno ratificato, e secondariamente perché non ci sarebbero i tempi tecnici necessari, come ha spiegato soprattutto il direttore esecutivo del Mes, Pierre Gramegna, in quanto, per evitare pericolosi vuoti normativi – soprattutto in un periodo di tensione sui mercati finanziari come questo, dovuto alle ripetute crisi bancarie negli Usa e in Svizzera –, è fondamentale completare le ratifiche entro l'anno.
Questo perché il nuovo Mes – è importante ricordarlo - che svolgerà anche e soprattutto una funzione di argine di sicurezza in caso di grave crisi del sistema bancario di uno Stato membro, possa diventare operativo dal primo gennaio 2024. Se proprio il nostro governo aveva bisogno di qualche elemento di novità, vero o anche soltanto presunto, per giustificare l’inversione di rotta, avrebbe dovuto avanzare una proposta dettagliata e tecnicamente percorribile, non esportare i problemi di politica interna. E poi bisogna sapere quali sono le sedi e gli interlocutori giusti per avanzare determinate richieste. Chiedere a Pascal Donohoe e Pierre Gramegna, rispettivamente presidente dell'Eurogruppo e direttore esecutivo del Mes, di compensare l’Italia per il sì al Mes, con la contropartita di concessioni sul patto di stabilità (per esempio escludendo le spese militari e il cofinanziamento nazionale ai progetti del Pnrr) e sulla flessibilità su progetti e riforme del Pnrr (peraltro flessibilità «al buio», visto che non abbiamo ancora presentato proposte concrete alla task force della Commissione europea, sempre più preoccupata per i continui rinvii dell'Italia), non poteva avere altro esito che un no secco. E questo non perché la contrattazione sia vietata - anzi è prassi ricorrente concedere qualcosa agli altri Stati membri per ottenere in cambio qualcos'altro - ma perché l’unica sede in cui la si può esercitare è il Consiglio Ue, sul cui tavolo confluiscono tutte le tematiche di interesse degli Stati membri. La dichiarazione di Giorgetti «noi abbiamo un’altra posizione: bisogna discutere di tutto», che non andava fatta a Stoccolma, in sede di Eurogruppo, semmai a un vertice dei 27 al Consiglio Ue a Bruxelles, rischia di rafforzare l'impressione di inadeguatezza tecnica del nostro governo che si sta facendo strada a Bruxelles.

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