ROMA E BERLINO

Economia di guerra l'Europa alla prova

di Francesco Morosini

Gli Stati membri dell’Unione europea dinnanzi alla crisi energetica litigano come i capponi del Renzo dei «Promessi Sposi», che continuavano a beccarsi quasi fin nella pentola. Ora l’accusata principale è la Germania, pur restando sulla scena la speculazione, quasi fosse possibile evitare, seccatasi la principale fonte di gas, quella russa, l’esplosione del suo prezzo; e senza necessità di mani nell’ombra. Purtroppo entrambi i casi sono un «parlar d’altro» rispetto a un’emergenza già latente prima (i prezzi dell’energia lo dimostrano) dell’attuale crisi militare. Certo, dar volto a un solo colpevole è consolatorio. Ecco allora in scena la reproba Germania che, dinnanzi alla difficile situazione dell’energia, avrebbe rotto gli ormeggi dell’Ue per navigare da sola. Ma è proprio così? La prima cosa da sottolineare è che sull’energia normativamente l’Ue ha competenza concorrente (di quadro) mentre sono i singoli Stati a legiferare, pur nel rispetto, se presenti, di vincoli comuni. Come ha già fatto l’Italia e ora fa la Cancelleria tedesca mettendo sul piatto 200 miliardi di euro. Quindi pure l’Italia, come la Germania, ha puntato il 3,3% del Pil, mentre noi viaggiamo sul 5%. La differenza è indice del fatto che il Belpaese ha meno risorse fiscali di Berlino per affrontare questa tempesta. È l’omicidio dell’Ue sulle rive della Sprea? No, perché sia la morte (ricorrente) che l’esistenza dell’Ue come soggetto politico autonomo, sono notizie esagerate. Semplicemente, i tedeschi sono stati più accorti e hanno accumulato più «legna fiscale» per affrontare le emergenze. Denaro in parte già stanziato a tutela delle loro utility energetiche (ad esempio, il salvataggio del loro maggior importatore di gas, Uniper); il resto, al contrario, dovrebbe dare sollievo a consumatori e famiglie. D’altronde, anche il Belpaese, prima più prudente e ora osando tagli in altre voci del bilancio, avrebbe potuto fare come Berlino. Il cui atto comunque viene interpretato come un’erosione della solidarietà europea. Insomma, la volontà tedesca di pretendere di disporre per sé del proprio vantaggio fiscale preoccupa gli altri partner continentali. La posta in gioco è alta, come chiarisce la proposta dei commissari europei Gentiloni e Bretton: ossia la creazione di un Fondo comune, di suo emettente obbligazioni garantite dall’Ue, come arma (garantita soprattutto dai Paesi «forti» fiscalmente) contro la crisi energetica. L’argomento base a suo favore è l’appello al sostegno comune europeo. Il punto è che tra Stati sovrani la solidarietà è un «do ut des»: il Pnrr, ad esempio, è passato perché la tenuta economica dell’Ue era un’utilità condivisa. Il dilemma ora è: ciò vale ancora oppure la situazione spinge al «ciascuno per sé e Dio per tutti»? Ecco perché si guarda con preoccupazione alla Germania e, di conseguenza, all’Olanda, che potrebbe seguirla. Lo si dovrebbe capire meglio al Consiglio Energia straordinario dell’Unione del 26 ottobre. Due cose sono certe: che ci sarà tensione tra ratio economica (critica dell’amministrativizzazione dei prezzi perché inefficiente) e la politica che teme la rivolta delle bollette; poiché la finanza pubblica, coperta o meno dal Fondo europeo, dovrà mediare tra entrambe. Purtroppo il 2023, con i residui flussi di gas russo in pratica azzerati, potrebbe essere peggiore. La priorità, pertanto, è di reggere garantendosi altre fonti (il timore è meno stabili e più care) ed evitando la desertificazione industriale. Ardua missione.

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