OCCUPAZIONE

Giovani e lavoro: largo al digitale

di Franco A. Grassini

Quando si considerano i problemi del non trascurabile scarso livello di occupazione sia nel mondo sia in Italia, molto di frequente si omette di porre sufficiente attenzione a quello più grave e condizionante, ovvero il problema che riguarda i giovani. Lo ha fatto con profondità e preoccupazione Phyllis Papadavid, una capace economista di origine greca trapiantata a Londra, che studia i mercati globali del lavoro con particolare attenzione all’Asia, che ha messo in luce come il numero di giovani che non studiano, non lavorano oppure non siano in addestramento abbia raggiunto negli ultimi anni livelli eccezionali, mai visti e toccati negli ultimi due decenni. A livello mondiale si tratta del 15% degli uomini sotto i 35 anni e ben del 32% delle donne di analoga età. Ma la situazione varia, e di molto, da Paese a Paese in funzione del dinamismo economico e della cultura della discriminazione nei confronti delle donne. Negli Stati del Sudest asiatico non lavorano e non studiano il 6% dei giovani maschi, mentre si arriva addirittura al 53% delle donne giovani. Naturalmente molto dipende dal tipo di economia praticata localmente, ma la stessa è molto influenzata proprio dai comportamenti delle popolazioni del luogo e dalle culture locali. Dove queste sono aperte e liberali, la partecipazione al mondo del lavoro di un maggior numero di persone (donne comprese) aiuta in maniera importante il suo sviluppo perché fa aumentare con tassi impetuoso la produzione. Ancora più importante è, per altro, il livello della produttività. È sufficiente pensare al dinamismo economico della Corea del Sud e del Giappone e metterlo a confronto con la staticità di cui purtroppo sono affetti in maniera grave Paesi pur ricchi di risorse e potenzialmente avanzati come l'Argentina e il Messico. La digitalizzazione in corso dell'economia globale sta comunque modificando radicalmente la situazione, perché può sì ridurre i posti di lavoro di tipo tradizionale, ma può crearne di nuovi (e molto più numerosi) che richiedono diverse capacità rispetto a quelle a cui siamo abituati a pensare. Se, quindi, vogliamo che i nostri giovani trovino occupazione soddisfacente e remunerazioni di buon livello, dobbiamo senz'altro dare priorità alla loro educazione nelle nuove tecnologie e non ostacolare, come per chi è più «anziano» forse sarebbe gradito e comodo, la diffusione delle stesse, ma con fatica apprenderle. È un dovere che abbiamo per sviluppare un mondo migliore.

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