LA NUOVA ITALIA

Giustizia e riforme non si può aspettare

di Federico Guiglia

Più di trent’anni sono passati dai referendum sulla responsabilità dei giudici (1987) e poco meno dall’inizio, nel 1992, delle inchieste di Mani Pulite. Eppure, il grande tema della giustizia resta irrisolto nelle considerazioni dei cittadini (dai processi lenti e costosi alla certezza della pena che è solo un miraggio), e riesplode in queste ore. Con una scelta che ha spaccato gli stessi promotori, e che appare molto difficile da capire in uno Stato di diritto, i magistrati hanno appena scioperato contro la riforma del governo voluta dalla ministra Marta Cartabia. Ma l’esito modesto nelle adesioni alla protesta ha innescato polemiche fra le stesse toghe e sconcerto da parte di ampi e trasversali settori del mondo politico: come fanno a scioperare contro lo Stato coloro che sono chiamati ad applicarne le leggi? Come se non bastasse, il 12 giugno si vota per 5 referendum che, fra separazione delle carriere, riforma del Csm, limiti alla custodia cautelare e altro prescindono dalla riforma Cartabia, ritenuta utile ma insufficiente anche da alcuni partiti nella maggioranza che pure l’hanno assecondata. Intanto il governo approva la riforma tributaria. Dunque, s’infiamma un tema decisivo per i diritti degli italiani e per lo sviluppo economico del Paese. Da tempo imprese straniere evitano di investire in Italia, e lo fanno in altre nazioni europee, proprio per le incertezze delle regole e i rischi di non poter ottenere giustizia in tempi ragionevoli, se sorgono conflitti. Non per caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede forti investimenti nel nuovo «Ufficio per il processo», nella digitalizzazione e nell'edilizia giudiziaria. Ma lo sforzo per arrivare a quella «giustizia giusta» da sempre invocata, finora invano, dovrebbe vedere tutti dalla stessa parte: magistrati e avvocati, maggioranza e opposizione. Ciascuno con le sue opinioni, certo, ma tutti uniti verso l'obiettivo di cambiare in maniera strutturale un sistema che non funziona. Come da ultimo testimonia il caso-Palamara e lo scandalo per il modo e mondo delle nomine che ha coinvolto il Csm, e che portò il presidente Mattarella nel discorso d'insediamento a sollecitare «un profondo processo riformatore» della giustizia. Oggi è dovere per tutti, alla vigilia di altri anniversari all'orizzonte: i trent'anni del sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, magistrati-eroi uccisi dalla mafia perché avevano e sapevano far valere un grande senso della giustizia e dello Stato. www.federicoguiglia.com

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