LA SCELTA DELLA UE

I crimini di guerra e il ricatto del gas

di Federico Guiglia

Da oggi nessuno può più dire «io non sapevo». Satelliti e testimoni diretti, immagini tv e cronache indipendenti rivelano al mondo intero e attonito l’orrore senza fine in una piccola città - Bucha è il suo tragico nome - che trasforma la guerra di Putin contro gli ucraini in un delitto contro l’umanità. «Bisogna processarlo per crimini di guerra», invoca il presidente Usa Biden, mentre l’Ue, incredula di fronte a tanta e tale crudeltà, punta a rafforzare le sanzioni economiche contro Mosca. Ma non ancora - frenano Berlino e Vienna- fino al punto, peraltro sempre più difficile da eludere, di bloccare il gas russo all’Europa, come i più attenti e diversi osservatori, fra i quali l’ex presidente del Consiglio, Prodi, sottolineano: chiudere i rubinetti dell’energia a Putin, sarebbe la sua rovina. La madre di tutte le battaglie economiche per metterlo davvero in difficoltà. E per indurre l’Ue a trovare subito una via autonoma e alternativa al perenne ricatto. Lo scontro si inasprisce, in Ucraina e fuori, dopo la scoperta di fosse comuni con civili ammazzati con le mani legate dietro la schiena, e cadaveri buttati lungo le strade, e testimonianze su donne stuprate. 

I drammatici racconti che arrivano dalla città ucraina di Bucha sono ovviamente giunti anche agli ucraini che vivono a Brescia. Anzi, forse sono conosciuti da loro in maniera ancor più approfondita, perché hanno fonti dirette e in lingua.Oksana Petryna, a Brescia dal 2014 con due figli, ha parenti a Bucha. «Mia zia abita lì e sono sicura che quei fatti tremendi siano veramente accaduti - racconta -. Per fortuna aveva lasciato casa sua poco prima che arrivassero i russi. È una strage che mai avrei pensato potesse accadere, perché è vero che la guerra è guerra, ma così crudele». Sua zia ora vorrebbe tornare a casa, ma, ancora non può. «Deve ancora aspettare che vengano tolte le mine dal terreno, ma poi rientrerà in quei posti di orrore», spiega Oksana. Orrore fuori da ogni umanità o invece proprio dell'essere umano? «Non è proprio dell'essere umano in sé, ma dell'essere umano in guerra - commenta padre Vladimir Zelinskij, della chiesa ortodossa di Brescia - in guerra tutti diventano bestie: sei i soldati russi hanno fatto questo a Bucha non è impossibile che lo facciano altrove né che facciano stragi simili i soldati ucraini». Padre Zelinskij è russo, ma è del tutto contrario all'invasione di Putin. «In Russia è chiaro che ci sia un regime non democratico - precisa - per questo Putin non poteva tollerare un Paese vicino, come l'Ucraina, dove c'è democrazia, certamente piena di difetti, come la corruzione, ma pur sempre una democrazia. Mentre quello di Putin è un regime che non ammette dissenso, ecco perché ora non può esserci un movimento per la pace in Russia: chi è contrario alla guerra viene arrestato, oggi è reato anche scrivere "no alla guerra". Putin vuole occupare Kiev, mettere un governo amico in Ucraina e finché non lo ottiene, la guerra continua, non l'ha certo iniziata per perderla». Sconvolta per i racconti che giungono da Bucha è anche Anzhelika Shevchuk, la farmacista tanto attiva per la raccolta di aiuti sin dal primo giorno. «Non mi aspettavo una violenza simile - sottolinea - in guerra succede di tutto ma non pensavo così oltre ogni limite umano». Anche Oleksandra Lebid, studentessa dell'istituto Golgi e a Brescia da sei anni, è rimasta traumatizzata per quel che ha visto e sentito. «Devo prendere sonniferi per dormire perché non riesco a chiudere occhio da oltre un mese e quest'ultima strage mi ha atterrita ancora di più», ammette. Oleksandra è di Vinnycja, a 200 chilometri dalla capitale ed è molto arrabbiata per come i media stanno raccontando la guerra. «Io sento direttamente le fonti sul posto - spiega -. Quello che vedo sui media europei in generale è molto mediato dalla censura. Sono in pochi a raccontare davvero ciò che sta succedendo. Chi nega i fatti di Bucha è in malafede o asservito alla propaganda russa».La studentessa sin dall'inizio si è impegnata nella diffusione delle notizie, sia con i propri coetanei, che in occasioni delle manifestazioni organizzate in solidarietà con la popolazione del suo paese. In una di quelle occasioni aveva incontrato Katia Kovalin, originaria di Sokal', a 80 chilometri da Leopoli, a Brescia da 13 anni; sul modo di far filtrare le notizie è convinta che «bisogna ascoltare chi è sul campo, chi sta subendo la guerra e la racconta».Riguardo a Bucha non si aspettava una violenza simile e questo fa crescere in lei l'angoscia per i suoi familiari rimasti in patria. «Sono lontani da Bucha - spiega - Ma se è successo là potrebbe accadere anche nella mia città, se i russi arriveranno fino a lì. I miei parenti non vogliono fuggire, sperano ancora di poter scampare ma ho sempre più paura»..

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