L’EDITORIALE

I Mullah ora devono fare i conti con la rete

di Maurizio Battista

La resistenza degli eredi del Leone del Panshir, le forze da combattimento specializzate, le sanzioni economiche durissime, un’alleanza internazionale che vada oltre la Nato: queste sono le armi di cui finora si parla per tenere a freno l’espansione del regime islamico talebano che ha nuovamente preso possesso dell’Afghanistan dopo il poco decoroso ritiro degli Usa, a conferma di una guerra durata vent’anni e che non è servita a portare la democrazia. Ma rispetto a quando i talebani imposero il proprio regime di terrore a Kabul e nel Paese, dal 1996 al 2001, dopo aver sconfitto l’allora Unione Sovietica, se il mercato dell’oppio e delle armi è rimasto sempre il baricentro delle attività talebane, qualcosa invece è profondamente cambiato e i signori del terrore dovranno tenerne conto perché è un’arma nuova, potente e devastante. Il suo nome è Internet. Per fare alcuni esempi: Facebook è nato nel 2004, Youtube nel 2005, Google Maps nel 2004, il Bluetooth è del 2000. Le piattaforme big-tech si sono già attivate per mettere in sicurezza i loro iscritti, impedendo ad esterni di conoscere i contenuti e i collegamenti degli account. Rispetto a 25 anni fa, il regime talebano è monitorato giorno per giorno dall’Occidente grazie a migliaia di foto, video e notizie. I talebani si sentono gli occhi del mondo addosso perché di fronte a quanto sta accadendo a Kabul si sta creando il famoso «popolo mondiale»: come diceva il politologo Dahrendorf, la Rete è la base della stessa globalizzazione. Se ben utilizzata potrebbe (forse) portare più democrazia di un esercito di marines.

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