SCANDALO UE

Il lobbismo «buono» e l'onta immeritata

di Giorgio Perini

Temo che si possano già dare per scontati due effetti del caso di corruzione al Parlamento europeo da parte di uno degli Stati del Golfo, e questo purtroppo indipendentemente da come finiranno le indagini: il rinnovarsi di pregiudizi fortemente negativi verso i nostri connazionali, che si tratti di parlamentari o di assistenti, e il rafforzarsi della percezione dell'attività di lobbying, come intrinsecamente illecita. Per la prima conseguenza c'è poco da fare, purtroppo, e dispiace perché ne soffriranno anche quelle e quegli assistenti parlamentari, giovani e competenti, che non si risparmiano nel proprio lavoro, così come le e gli europarlamentari italiani che svolgono con impegno e dedizione il loro ruolo. Purtroppo, la stessa credibilità del Parlamento europeo ne soffrirà e forse varrebbe la pena di chiedersi a chi faccia comodo. Quanto al secondo aspetto, invece, il rischio dell’assuefazione è talmente concreto che molti in Italia si chiederanno se la magistratura belga non sia per caso esagerata e se quello che viene addebitato oggi agli inquisiti giustificasse davvero il dispiegamento di forze di polizia che abbiamo visto. E invece no, perché l’attività di lobby può essere buona oppure cattiva: la prima va regolamentata in dettaglio ed esercitata alla luce del sole, la seconda invece va perseguita senza mezze misure, ed è quello che sta succedendo a Bruxelles, per fortuna. Rimarchiamo che nelle istituzioni europee la distinzione è, in linea di principio, inequivocabile, sia nei fini che nei mezzi. Il fine della «buona lobby» deve consistere semplicemente nel fornire ai decisori politici (in primis al Parlamento europeo, ma anche alla Commissione e al Consiglio) un quadro conoscitivo più completo possibile delle diverse posizioni in campo, ma senza tentare di forzare la mano a senso unico, cioè vantaggio di un solo soggetto o categoria. E soprattutto i lobbisti devono iscriversi a specifici registri (le cui informazioni sono pubbliche) dichiarando tra l’altro in nome di chi agiscono e quali risorse economiche vengono messe a loro disposizione. Per di più è disponibile su internet, per chiunque, l’agenda di tutti gli appuntamenti, giorno per giorno, di chi ricopre incarichi di vertice. Di conseguenza, sarebbe già molto grave se, per esempio, un commissario europeo nascondesse un appuntamento o la sua segreteria non controllasse preventivamente se e sia o meno opportuno che incontri una determinata persona. Aggiungo che il Qatar avrebbe fatto un pessimo investimento, sopravvalutando le possibilità di incidere, da parte di chicchessia, inclusa la vicepresidente del Parlamento europeo, sulle decisioni delle istituzioni Ue, il cui processo decisionale è – per quanto spesso criticato - uno dei più trasparenti e democratici al mondo, in particolare proprio perché sovranazionale e soggetto alla doppia dinamica delle famiglie politiche (trasversali a tutti gli Stati membri) e dei gruppi nazionali. In conclusione, e nonostante le ripetute invocazioni, nelle ultime ore, di regole più restrittive se non addirittura dell’istituzione di un nuovo organo di controllo, penso che sia sufficiente applicare rigorosamente le regole esistenti, per garantire l’autonomia delle istituzioni Ue da pressioni indebite. Piuttosto, la domanda che si impone è: quanti lobbisti «coperti» operano in Italia, approfittando del vuoto normativo e del disinteresse per l’argomento? 

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