Il «metodo» che apre le porte a Bruxelles

Mario Draghi, in occasione della sua ultima partecipazione, come presidente del Consiglio dei ministri, al Consiglio europeo, ha voluto salutare, con il suo inconfondibile stile, il personale diplomatico italiano a Bruxelles. Ma temo che sia sfuggito a molti perché, per accorgersene, bisognava poter riconoscere i locali della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Ue (dove io stesso ho prestato servizio fino al 2019) nei quali ha tenuto il suo discorso. Eppure, anche se molto apprezzato, credo che non si sia trattato solo di un gesto di cortesia né fosse rivolto ai soli diplomatici, ma abbia rappresentato un ben preciso lascito al nuovo governo sull’assoluta necessità di adottare un metodo, nei rapporti con le istituzioni europee, che garantisca credibilità e autorevolezza all'Italia in Europa (e all'Europa nel mondo). Insomma, se non la cosiddetta «agenda Draghi», spesso evocata in campagna elettorale, del resto in larga misura dettata dalla contingenza internazionale – pandemia e guerra in Ucraina in primis - e dalle sue conseguenze, almeno un «metodo Draghi», altrettanto essenziale. Il metodo di lavoro al Consiglio europeo, infatti, non ammette improvvisazioni e Draghi lo sa meglio di chiunque altro, vista la sua esperienza da presidente della banca centrale europea. E infatti i leader europei hanno per l'ennesima volta riconosciuto la leadership del nostro premier uscente. Un riconoscimento diventato concreto a notte fonda (come quasi sempre succede in questi casi) con il raggiungimento di un primo accordo sul calmieramento del prezzo del gas che si è subito rivelato efficace. Risultati come questo sono il frutto prima di tutto del lavoro dei cosiddetti «sherpa» nei gruppi di lavoro del Consiglio Ue, poi degli ambasciatori di tutti gli Stati membri nelle riunioni del Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti), e infine – solo per gli aspetti non ancora risolti – dei ministri o addirittura dei capi di Stato e di governo (come per il tetto al prezzo del gas). È un puzzle da costruire pezzo per pezzo. Se gli «sherpa» non hanno istruzioni chiare fin dall’inizio oppure se si cambia linea da una riunione all’altra (come purtroppo nel passato ho visto più volte accadere) l’esito è già compromesso. Insomma, non è scritto da nessuna parte che si debba subire la volontà degli altri Stati, ma bisogna saper costruire bene le proprie proposte, saperle illustrare, e soprattutto saper negoziare. E quando si ha una proposta valida, come quella di Draghi sul tetto al prezzo del gas, e si tratta di una proposta che tiene conto dell’interesse europeo generale, non solo dell’Italia, anche se a scapito di qualche interesse che si potrebbe definire «di bottega» da parte di qualche altro Stato membro, allora sì che si può fare un po’ la voce grossa, come l’ha fatta Draghi – sempre con le dovute forme - all’ultimo vertice europeo al quale ha partecipato da capo del governo italiano e, fatemelo dire, da premier europeo più autorevole in assoluto, se non altro dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Sono convinto che il premier Draghi volesse attirare l’attenzione su tutto questo, nel suo discorso alla Rappresentanza permanente d'Italia, e spero che la politica italiana, e soprattutto il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni, si rendano conto che il «metodo Draghi» è l’unico spendibile in Europa e lo facciano proprio. Perché, al di là dei facili slogan, il problema non è se vogliamo più o meno Europa, ma quale Europa vogliamo. E dobbiamo saperla costruire.

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