VERTICI SOCIETARI

Il valore aggiunto della diversità

di Bettina Campedelli

La buona governance è considerata un prerequisito per il buon funzionamento delle imprese, a prescindere dal settore di appartenenza e dalla loro matrice privata o pubblica. Adeguati meccanismi di governance, infatti, garantiscono la trasparenza dell’operato aziendale e favoriscono le relazioni, tant’è che molte aziende, anche attraverso una effettiva ed efficace autoregolamentazione, stanno convergendo verso l’assunzione responsabile di regole uniformi che sappiano tutelare gli interessi propri e dei mercati cui si rivolgono, cercando di instaurare una alleanza strategica tra l’impresa e i suoi stakeholder primari: clienti, fornitori, lavoratori e risparmiatori. Inoltre, essi costituiscono uno dei pilastri del paradigma Esg, sul quale poi puntano molti degli investimenti del Pnrr. Su questi temi le imprese si sono già concentrate adottando modelli di governo che implicano rispetto dell’ambiente, benessere sociale e processi di gestione d’impresa ottimali, per costruire un futuro fatto di sviluppo, ma anche di relazioni e di coesistenza con l’ecosistema, senza rinunciare al profitto. L’acronimo ESG (Environment, Social, Governance) indica, appunto, i criteri di natura non finanziaria che misurano l’impatto ambientale (E), il rispetto dei valori sociali (S) e gli assetti di governance (G). Adeguati meccanismi di governance migliorano le performance aziendali. Studi realizzati in tutto il mondo nell’ultimo mezzo secolo hanno dimostrato che essi producono imprese più orientate al futuro. Producono anche imprese con performance mediamente migliori delle loro concorrenti e meglio attrezzate per affrontare le crisi. Ma quali sono i contenuti concreti della buona governance? Sono molti e riguardano gli strumenti, le regole, i sistemi, i processi e i rapporti aziendali, che, disegnando assetti precisi e condivisi all'interno dell'azienda, ne disciplinano ogni vitale funzione gestionale. Tra di essi un ruolo importante giocano le regole di composizione degli organi di governo e, in particolare dei Consigli di amministrazione, ispirate al criterio cosiddetto di «diversity».La diversità concerne le caratteristiche personali degli amministratori. Si tratta di fattori quali l'età, il genere, la razza, il titolo di studio, le qualifiche professionali e l'anzianità di carica, ma anche di fattori meno tangibili come l'esperienza e le attitudini personali. È ormai assodato che la diversità rende più efficaci i processi decisionali, utilizza al meglio il pool dei talenti di cui è composto l'organo amministrativo e, in estrema sintesi, migliora la reputazione aziendale e le sue relazioni con la realtà sociale ed economica circostante, attraverso l'affermazione dell'azienda come impresa responsabile. E ciò a maggior ragione quando la matrice pubblica dell'impresa vede nella collettività di riferimento uno degli stakeholder di riferimento. Alla luce di tutto ciò, preoccupa seriamente vedere ancora presente la difficoltà del nostro Paese ad allinearsi alla «best practice» internazionale ormai assodata, in particolare in assenza di uno specifico vincolo normativo (che opera ad esempio e invece nelle società quotate). Intristisce, inoltre, vedere come, troppo superficialmente, si riduca un tema di alto valore strategico per le imprese a una mera rivendicazione di genere. Forse in proposito vale la pena di riflettere con impegno sulle parole pronunciate da Klaus Schwab - fondatore e attuale direttore esecutivo del Forum economico mondiale, il celebre Forum di Davos - che recentemente ha auspicato la nascita di una governance pubblica 4.0, che sia capace di un pensiero strategico a lungo termine e altrettanto capace di uscire da una concezione ottusamente angusta dell'economia.

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