I GUAI DEL GOVERNO

In ritardo sul PNRR tentiamo uno scatto

di Antonio Troise

A questo punto servirebbe un miracolo. O, quanto meno, un vero e proprio scatto da centometrista mondiale per centrare gli obiettivi di fine anno previsti per il Pnrr, l’ormai famoso Piano di ripresa e resilienza, finanziato con i fondi europei. E sarebbe un’accelerazione da brividi. Del 191 miliardi assegnati all’Italia, al 31 agosto ne avevamo spesi poco più di 11. Se tutto andrà bene, a fine anno ne rendiconteremo altri 4, portando il totale a 15. Più o meno la metà rispetto alla tabella di marcia prevista dall’esecutivo. Se a questa cifra aggiungiamo i 6 miliardi spesi nel 2021, arriviamo a 21 miliardi di euro. In sostanza, dobbiamo spenderne 170 entro i prossimi 4 anni, dal momento che l’ultima data utile per rendicontare la spesa è quella del 31 dicembre del 2026. Un traguardo, diciamolo subito, che allo stato attuale non è alla nostra portata. E questo, indipendentemente dalla capacità o dal colore politico dell’inquilino di Palazzo Chigi. I fattori che hanno rallentato la spesa sono noti. Alcuni non erano prevedibili un paio di anni fa, quando si cominciò ad elaborare la tabella di marcia del Piano. Forse si poteva immaginare l’impennata delle materie prime, conseguente al rimbalzo post-Covid. Ma era letteralmente impossibile pensare ad una guerra nel cuore dell’Europa con l’impennata record del prezzo dell’energia. Fattori che hanno fatto lievitare i costi e, quindi, l’intero quadro economico del Pnrr. Come a dire: con le stesse risorse potremo finanziare meno opere. Ma accanto ai fattori imprevedibili, ce ne sono altri che, invece, erano «prevedibilissimi». Come, ad esempio, la cronica incapacità di spesa delle amministrazioni locali, a partire da Comuni e Regioni ai quali sono stati affidati circa il 25% dei Fondi. Ma anche l’enorme stratificazione di norme burocratiche che rendono estremamente complesso e difficile il percorso che dal progetto di un’opera porta alla concreta apertura dei cantieri. Per un investimento superiore ai 100 milioni, il tempo medio è di dieci anni. Il doppio di quello che servirebbe per centrare gli obiettivi del Pnrr. Un caso per tutti è il grande piano contro il dissesto idrogeologico. Gli ultimi drammatici eventi, come quello di Ischia, mostrano una volta di più l’importanza di questi progetti finanziati di prevenzione dei rischi, anche con le risorse europee. Eppure, fino ad ora, dei 2,5 miliardi programmati, non si è speso neanche un euro. Il problema, insomma, è ancora una volta quello di rivedere in profondità la macchina della spesa pubblica, Anche cambiando la governance dei progetti, con la costituzione della cabina di regia a Palazzo Chigi. Un tassello che, sia pure con i distinguo della Ragioneria, è importante per evitare sovrapposizioni e ritardi. Ma, il vero nodo da sciogliere è quello della semplificazione e della riforma del codice degli appalti. Insomma, occorrerebbe un nuovo decreto Pnrr sul modello di quello che si è fatto per il Ponte Morandi. Con le dovute cautele e modifiche, ovviamente. Ma con lo stesso spirito. Altrimenti rischiamo davvero di gettare al vento un’occasione storica per modernizzare il Paese e accelerare la crescita.

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