Se avremo vinto anche la pace, dopo quasi vent’anni di missione militare in Afghanistan per sradicare, con un’ampia coalizione di Paesi, il regime dei talebani e contribuire a dare una speranza alla popolazione, lo capiremo già nei prossimi mesi. Ma la cerimonia dell’ammainabandiera a Herat annuncia che la guerra è davvero finita così com’era cominciata all’indomani dell’11 settembre 2001 con la strage alle Torri Gemelle a New York: nell’incertezza. Con la coscienza però, come italiani, di aver fatto con professionalità e umanità quel che ci avevano chiesto a beneficio degli afgani e di un mondo libero anche dall’odio. I nostri 800 soldati presenti dall’inizio dell’anno e l’impegno di mezzi, denaro e aiuto che l’Italia ha profuso in tutto questo tempo, lasciando sul campo 54 caduti e 650 feriti, testimoniano del massimo sforzo. Che dovrà proseguire, come ha chiarito il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, pronto ora a farsi carico, com’è doveroso, di quegli afgani che hanno collaborato con il nostro Paese, per esempio i preziosi interpreti, e che potrebbero essere oggetto di rappresaglia dei talebani. È questa la scommessa degli Stati Uniti e dell’intera coalizione sulla via del tutti a casa: che il ritiro dei militari in cambio della riconciliazione fra le parti e dell’addio al terrorismo, non si trasformi in un ritorno al passato. Sarà il ruolo riconosciuto alle donne il termometro del cambiamento. Ammainabandiera, ma per andare avanti nei diritti e nella pacificazione, vent’anni dopo. www.federicoguiglia.com