L’EDITORIALE

L'alleanza atlantica avverte i cinesi

di Ernesto Auci

Anche se la politica estera sembra distante anni luce dalle preoccupazioni quotidiane dei cittadini, quanto avviene nel mondo influenza non poco la vita concreta delle singole persone e dei Paesi nel loro insieme. Negli ultimi anni a causa delle velleità dei 5 Stelle e della Lega sovranista, il nostro Paese ha avuto una politica estera oscillante, ha perso credibilità, ha tentato inutilmente di instaurare rapporti preferenziali con la Russia di Putin e con la Cina con la quale, unica tra i Paesi europei, ha sottoscritto un accordo sulla così detta «via della seta». Il secondo governo di Conte era riuscito a fatica a ricucire i rapporti con l’Europa, ma sul resto erano rimaste le incertezze che alla fine hanno portato alla nostra cocente sconfitta in Libia, che di fatto è stata spartita tra russi e turchi. Ora Draghi, anche grazie al suo prestigio personale conquistato negli anni in cui ha guidato la Banca Centrale Europea, tenta di ridare al nostro Paese un ruolo da protagonista sia nell’ambito europeo, sia nel processo di riavvicinamento tra gli Stati Uniti e il Vecchio Continente che è nelle intenzioni di Biden. Sia al G7 che al vertice Nato l’Italia è stata in prima fila. Draghi, in accordo con Macron e Merkel, ha contribuito a mettere in forma accettabile la sfida che i sette paesi più industrializzati del mondo hanno lanciato alla Cina. Ne è uscita una formulazione che indica fermezza ma non aggressività verso i cinesi. Draghi l’ha riassunta con tre parole: competizione, cooperazione, fermezza.

Suggerimenti