IL PIANO DI SPESE

L’America di Biden fra Regan e Roosevelt

di Alberto Pasolini Zanelli

Dalla Casa Bianca Joe Biden si sforza di guidare la massima espansione del ruolo centrale dello Stato, «promettendo» una spesa federale di sei trilioni di dollari, dimensione che non si vedeva da oltre mezzo secolo. Egli offre (e per alcuni minaccia) una espansione che nessuno dei suoi predecessori democratici aveva osato dopo Roosevelt, compresi Clinton e Obama, aumentando le tasse, dilatando il potere dei sindacati, in alcuni settori già largo, pronunciando nel suo discorso inaugurale 24 volte la parola «union» in un documento di 24 pagine, lasciando intendere che crede nell’utilità di aumentare le tasse, anche se soprattutto ai «supercapitalisti», esaltando il ruolo delle famiglie e rifiutando in pratica di ricostruire il ruolo declinante della scuola, soprattutto nella dimensione iniziale e fondamentale per il futuro dei figli della classe media e dei ceti meno privilegiati. Un piano, il suo, di ben larghe dimensioni, che egli ritiene necessarie per riformare e capovolgere l’America che oggi ha un volto più di Reagan che di Roosevelt. Non tutto il suo partito condivide queste sue intenzioni e concezioni. Un senatore democratico, Joe Manchin, ha già espresso allarme. A cominciare dall’aumento delle imposte: «Può essere necessario nei campi dove c’è qualche incrinatura; ma non aumentare in toto tasse, già fra le più alte del mondo». Finora una sola voce, ma senza quel senatore Biden perderebbe la maggioranza in quel ramo del Congresso. E il suo programma si bloccherebbe. /// segue PAG.4

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