UN’ALTRA LEZIONE

L'Italia fragile ha bisogno di serietà

di Antonio Troise

Rieccola l’Italia fragile, quella delle frane e delle alluvioni, dei terremoti e delle slavine, con il suo bilancio drammatico di vittime e sofferenza. Ha il volto del neonato trovato nel fango di Ischia o dell’uomo coperto di detriti salvato dai vigili del fuoco nel lungo weekend del dolore. Certo, sull’onda dell’emotività, è quanto mai facile prendere impegni e lanciarsi in facili promesse. Più difficile, invece, è mantenerle e non rimuovere i problemi una volta che l’evento drammatico esce dai riflettori dei media e torna nel cono d’ombra della quotidianità. Insomma, la tragedia di Ischia non dovrebbe solo far suonare l’ennesimo campanello di allarme sullo stato di salute del nostro territorio, ma avviare un percorso virtuoso, spingere il governo e le amministrazioni locali a voltare pagina e a mettere in campo un piano pluriennale anti dissesto idrogeologico.

Non è solo una questione, sacrosanta, di civiltà e di sicurezza. Ma un investimento importante per il futuro del nostro Paese. Negli ultimi venti anni, giusto per non andare troppo lontano, terremoti, frane e alluvioni sono costati alle casse dello Stato oltre 50 miliardi di euro, 2,5 miliardi ogni 12 mesi. Con le stesse risorse, e anzi, anche con qualche cosa in meno, si sarebbero potuti finanziare migliaia di progetti per la messa in sicurezza delle nostre città e delle nostre isole, magari cominciando dalle zone più «rosse» per poi coinvolgere l’intero territorio. Per la verità, qualche tentativo c’è stato, sia pure con stanziamenti molto contenuti. Ma, anche in questo caso, i progetti sono rimasti lettera morta, nascosti nel cassetti della burocrazia. È sufficiente spulciare il piano contro il dissesto idrogeologico varato qualche anno fa, durante l’era Renzi, oltre 600 milioni spesi con il contagocce. E, spesso, neanche con quello. Appena il 20% della somma è stato infatti impiegato dalle amministrazioni centrali e periferiche. Non è solo uno «spreco», ma anche un danno. Ora la storia si ripete. Con il Pnrr abbiamo a disposizione, entro i prossimi quattro anni, una dote di circa 15 miliardi da spendere in interventi di prevenzione e risanamento oltre che in riforme. Sarà la volta buona? Lo vedremo. Ma un fatto è certo: di fronte a un tema che prevede un orizzonte temporale che va al di là della sopravvivenza media di un governo italiano, occorrerebbe davvero un patto bipartisan sulla sicurezza. Così da blindare i progetti e difenderli da ogni eventuale cambio di colore a Palazzo Chigi. Certo, nessuno potrà mai mettere un freno all’imprevedibilità della natura. Ma potremmo evitare di farci del male da soli. E di trovarci, fra qualche tempo, a raccontare l’ennesimo disastro annunciato.

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