EDITORIALE

La fuga dal voto e la politica inutile

di Piergiorgio Chiarini

Dopo le valutazioni su vittorie e sconfitte della tornata elettorale c’è un dato che spicca più di altri: quello dell’astensione record dal voto. In città come Milano e Napoli è andato alle urne per la prima volta meno del 50 per cento degli elettori. Anche nel Bresciano, dove la partecipazione è stata comunque decisamente più alta della media nazionale, l’astensionismo è stato forte. L’analisi dei flussi elettorali consentirà di verificare chi sia stato più penalizzato dalla bassa affluenza. Ma al di là di questo, vien da chiedersi se nella scelta di non andare a votare non ci sia un sentimento di crescente sfiducia sulla reale capacità della politica di farsi carico dei problemi. Senz’altro pesa anche lo scoppio (salutare) di «bolle» come quella dei 5Stelle con disillusione per molti elettori. Prima ancora però dello scarso appeal che i diversi schieramenti dimostrano di avere e della percezione di incompetenza (purtroppo molto spesso fondata) della classe politica, si fa strada la sensazione che le decisioni che contano ormai bypassino le istituzioni democratiche sia a livello locale che nazionale. E quindi a che serve votare? In una società fatta di persone sempre più isolate, con relazioni molto fragili, nella quale i social network, antidemocratici per eccellenza, sono diventati la valvola di sfogo di tutti i risentimenti, l’astensionismo massiccio non è certo un fenomeno di cui si possa essere felici. La disaffezione al voto ha come corrispettivo la difficoltà a trovare candidati disposti a mettersi in gioco per fare i sindaci soprattutto nei Comuni di piccole e medie dimensioni. Anche questa è un’altra forma di fuga dalla politica.

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