La recessione è finita. Lo certifica l'Istat, con il dato positivo del Pil nel primo trimestre.

La recessione è finita. Lo certifica l'Istat, con il dato positivo del Pil nel primo trimestre. Ma, prima ancora dell'istituto di statistica, lo attesta l'economia reale, con quella spruzzata di rosa sui principali indicatori alimentata dalla svalutazione dell'euro, dal calo del prezzo del greggio e dalla massiccia dose di acquisiti di titoli pubblici decisa dalla Bce. Tre fattori esogeni che, insieme alle politiche espansive del governo, hanno contribuito a riaccendere il motore e spinto il prudente ministro dell'Economia, Padoan, a parlare di un'inversione di tendenza pur di fronte ad una crescita di appena qualche decimale, lo 0,3 per cento, per l'esattezza.
È presto per cantare vittoria. Ma sarebbe altrettanto sbagliato, come fanno alcuni esponenti politici, ridimensionare la portata dei numeri chiudendo gli occhi di fronte ad un evidente cambio di scenario dell'economia europea e non solo di quella italiana. Dopo sette anni di dura recessione, i dati del primo trimestre rappresentano molto di più di una boccata d'ossigeno. Sono l'avvio di un percorso che potrebbe portare anche il nostro Paese fuori da una stagione che ha impoverito quasi tutti, bruciando aziende, posti di lavoro e risparmi.
Non bisogna certo sottovalutare i tanti nodi irrisolti con i quali dobbiamo fare i conti: dalla disoccupazione al debito pubblico, dalla pubblica amministrazione al sistema giudiziario. Senza dimenticare, ovviamente, il problema dei problemi, l'alto livello delle tasse che rischia di frenare e compromettere ogni possibile strategia di crescita. Nodi strutturali che continuano a fare la differenza fra l'Italia e i suoi diretti concorrenti europei. Non a caso, Francia, Germania e Spagna corrono ad un ritmo più che doppio rispetto al nostro. Per fine anno l'obiettivo di un aumento del Pil dello 0,7 pe cento, come previsto dal Governo, sembra a portata di mano. Ma non bisogna abbassare la guardia o farsi distrarre dai falsi miraggi della spesa facile. Basta poco, come si è visto con la sentenza della Consulta sulle pensioni, per far saltare il quadro di conti pubblici. La ripresa finalmente è arrivata, ma risulta ancora troppo debole e, in ogni caso, incapace di fare fronte al dramma della disoccupazione. Occorre puntare, perciò, con maggiore coraggio su tutti quei fattori in grado di liberare risorse da destinare alla crescita, allo sviluppo e alla ripresa dei consumi e degli investimenti. Altrimenti, quello 0,3 per cento di crescita del primo trimestre sarà davvero una goccia rispetto al 20 per cento del nostro potenziale produttivo bruciato dalla più lunga e dura crisi del dopoguerra.

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