L’EDITORIALE

La svolta europea sugli aiuti di stato

di Giorgio Perini

Che il cittadino comune non si orienti nella selva di norme europee è normale, ma sorprende che perfino il «Financial Times» prenda delle cantonate nel commentare le politiche europee. Eppure è successo nell’articolo di commento alla proposta della Commissione europea di allentare ulteriormente le maglie delle regole sugli aiuti di Stato, in risposta all'Ira (Inflation Reduction Act), l’imponente piano americano di sostegno alla transizione ambientale voluto dall'amministrazione Biden. Il FT infatti ha sostenuto che l’Ira «distribuisce sostegni attraverso agevolazioni fiscali facili da ottenere che Bruxelles non ha invece il potere di concedere, perché le tasse sono una competenza dei singoli Paesi membri». Ma in realtà gli aiuti di Stato sono per definizione misure di sostegno alle imprese che passano per i bilanci degli Stati membri (poco importa se con risorse proprie o del bilancio Ue) e quindi vengono già molto spesso concessi (dai singoli Stati, non da Bruxelles) proprio con agevolazioni fiscali, anche all’interno dell’Ue. La controprova è data dal fatto che qualsiasi finanziamento concesso alle imprese direttamente dall’Ue non configura tecnicamente un «aiuto di Stato» e quindi in questo caso non c’è nessun bisogno di allentare le regole che questi sussidi non sono tenuti a rispettare. Il corollario di questo ragionamento (sbagliato) è che «il bilancio comunitario è ancora troppo piccolo per interventi su larga scala (a favore delle imprese)». Infatti le risorse  per gli aiuti di Stato vengono reperiti in larghissima misura dai bilanci nazionali ed è proprio per questo che il nostro Paese, a causa del suo debito pubblico, non può neanche lontanamente competere con Francia e soprattutto Germania. Di qui la pericolosità di una «corsa ai sussidi» letale per il mercato unico Ue. Ma in cosa consiste esattamente la proposta presentata qualche giorno fa dalla Commissione europea, a sostegno del secondo pilastro del nuovo «Piano industriale europeo per la transizione verde»? Si tratta della proroga (a tutto il 2025) e dell’estensione del campo di applicazione delle norme in deroga adottate per aiutare le imprese a superare la crisi (soprattutto energetica) dovuta alla guerra in Ucraina. L’obiettivo dichiarato è incentivare gli investimenti per la rapida diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione dell'industria, per evitare che prendano la via dei Paesi extra Ue (il riferimento agli Usa è scontato). Ma come? Il grimaldello, presentato dalla stampa come una novità assoluta, è rappresentato dalla possibilità di eguagliare il livello di finanziamento pubblico disponibile per lo stesso tipo di investimento fuori dall'Ue, fino al livello necessario per mantenere gli investimenti in Europa. In realtà questa disposizione esiste già da molti anni ed era stata introdotta per evitare la fuga dei progetti di ricerca delle imprese fuori dall'Europa, ma non era mai stato possibile applicarla a causa del rigore delle procedure di autorizzazione. La vera svolta epocale sta nell'approccio della Commissione europea, che sembra aver messo in secondo piano la difesa del mercato unico, anteponendo la competizione con gli Stati Uniti. È il bilanciamento di questi due obiettivi che dobbiamo difendere, come Italia, nella reazione che la Commissione europea ha chiesto alla propria proposta.

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