ANTITRUST UE

Le imprese e l'intrico degli aiuti di stato

di Giorgio Perini

Ha fatto notizia che Fiat-Fca sia stata «assolta» dall’accusa di aver beneficiato di 30 milioni di euro di vantaggi fiscali, che non deve più restituire come invece aveva deciso la Commissione europea nel 2015 e confermato il Tribunale Ue di primo grado nel 2019. Ma qual è la lente attraverso la quale si deve analizzare il trattamento fiscale ad hoc concesso a Fiat-Fca dal Lussemburgo, oggetto della decisione negativa con ordine di restituzione, ora annullata dalla Corte di Giustizia europea con sentenza definitiva: armonizzazione fiscale o regole sulla concorrenza intraUe (in particolare sugli aiuti di Stato)? La questione è dirimente perché, come noto, le politiche fiscali rientrano nella sovranità degli Stati membri, mentre il controllo sugli aiuti di Stato è di competenza esclusiva della Commissione europea. E infatti l’armonizzazione tributaria a livello Ue non era in nessun modo l’obiettivo della decisione negativa ora annullata, che puntava invece a scongiurare il sabotaggio del mercato unico (europeo) attraverso l’aggiramento delle norme sulla concorrenza che ne costituiscono un bastione fondamentale, rischio obiettivamente concreto nel caso dei trattamenti fiscali personalizzati (cosiddetti «tax ruling») concessi a singoli beneficiari da piccoli Stati membri dell’Unione europea, interessati a incrementare le proprie entrate diventando così «paradisi fiscali» all'interno dell’Ue stessa.

Come dire: quando servono paracadute sociali, come la Cig, o addirittura aiuti per investimenti o per il caro energia, provveda lo Stato nel quale si svolgono le attività produttive. Quando invece si tratta di pagare le tasse, meglio guardare altrove, trovando «isole fiscali» più compiacenti. Che un aiuto di Stato possa anche consistere in un vantaggio fiscale, o meglio che un trattamento fiscale vantaggioso e personalizzato possa costituire un aiuto di Stato camuffato, è un concetto consolidato nel diritto europeo, in prassi come in giurisprudenza. E questo nonostante che la politica fiscale, nelle aree non armonizzate, rientri tra le competenze degli Stati membri, ma attenzione: solo nella misura in cui sia applicato lo stesso trattamento alla totalità delle imprese, senza alcuna distinzione geografica, settoriale o di dimensione aziendale. Non di certo nel caso di trattamenti fiscali vantaggiosi «cuciti addosso» a singoli beneficiari. Che la decisione della Cge possa basarsi su presupposti erronei? L’ipotesi a mio avviso non è peregrina. Perfino il comunicato stampa della Commissaria europea alla Concorrenza (ora come al tempo dell’adozione della decisione annullata), Margrethe Vestager, adesso anche vicepresidente della Commissione europea, contiene uno «scivolone» quando afferma che la sentenza di annullamento sarebbe «una grave sconfitta per l’equità fiscale», perché implicitamente accetta il «campo di gioco» scelto dalla Corte, che non sembra corretto. Non sorprende quindi che anche prestigiosi quotidiani economici nazionali siano caduti nell’equivoco, abbinando la notizia della «assoluzione» di Fiat-Fca alle difficoltà a raggiungere un accordo, a livello europeo, su un’aliquota minima di tassazione delle imprese (cosiddetta minimum tax). Attenzione a cantar gloria troppo presto, però. Anche se la sentenza della Cge non è più appellabile dalla Commissione europea, quest’ultima non è vincolata dal principio «ne bis in idem» (il divieto di duplicare il procedimento rispetto agli stessi fatti) e potrebbe quindi decidere (non sarebbe la prima volta) di adottare una nuova decisione, esattamente sulla stessa fattispecie, sviluppando solo l’analisi giuridica in modo da scongiurare un secondo annullamento da parte della Corte. Insomma, il fatto che la Commissaria Vestager si sia riservata di «studiare attentamente la sentenza e le sue implicazioni», non implica per forza una resa dell’antitrust europeo.

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