L’EDITORIALE

Le liti e un paese appeso a Draghi

di Federico Guiglia

Proprio non ce la fanno a fare politica senza una bella rissa. Già nella prima Repubblica i governi duravano nove mesi, perché il tal partito (o una sua corrente) si scontrava con l’alleato di maggioranza. E la coalizione dei litigiosi andava in frantumi tra i capricci. Ma fa cadere le braccia che oggi, in tempo di uscita dalla pandemia e con un’economia che finalmente mostra segnali di ripresa - secondo le valutazioni di Ignazio Visco, cioè del governatore della Banca d’Italia -, centrosinistra e centrodestra si scontrino non già su come investire i fondi europei per la ripresa. Né sul che fare per convincere gli italiani ancora incerti a vaccinarsi. Se le suonano, invece, a proposito del disegno di legge Zan. Sul quale, oltretutto, nessuno dei litiganti contesta il principio cardine, ossia perseguire con maggior rigore della legge chi discrimina o fa violenza ad altri a causa dell’orientamento sessuale. Perciò trovare un accordo sulla formulazione di un testo chiaro e severo, che eviti confusi ideologismi, non è difficile: è doveroso. Eppure, al Senato c’è chi si barrica dietro al «qui non si cambia niente» (del testo approvato dalla Camera), e chi, all’opposto, rilancia col «qui si cambia tutto». All’ultima corrida, e che vinca chi urla di più. Che poi il tutto avvenga all’interno della maggioranza di unità nazionale appesa al suo presidente del Consiglio Mario Draghi, come del resto lo è il Paese, è solo un dettaglio. Un dettaglio di quanto, a volte, la politica poco conosca le priorità e il buonsenso dei suoi cittadini.

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