IL PUNTO

Le riforme e l'Italia fra spinte e resistenza

di Carlo Pelanda

L’effetto stimolativo della spesa pubblica garantita da indebitamento europeo – per l’Italia circa 191 miliardi complessivi fino al 2026 a partire da fine estate – potrà andare dallo 0,6% del Pil annuo allo 1,5%, dal 2022, a seconda del tipo di impieghi. Questa prima stima fatta dallo scrivente porta l’attenzione sulla produttività della spesa pubblica straordinaria come ora impostata nel Piano che il governo sta per inviare alla Commissione. Al momento l’ipotesi è che tale produttività sarà poca. I partiti premono per la spesa assistenziale. La condizionalità – pesante – dell’Ue spinge verso più liberalizzazioni e efficienza. Se questa fosse rispettata, l’effetto moltiplicatore e modernizzante della spesa pubblica sarebbe maggiore. Ma le riforme richieste dall’Ue dovrebbero trovare in Italia una maggioranza liberista capace sia di resistere al protezionismo sociale e corporativo sia di ridisegnare il sistema amministrativo statale. Infatti, con realismo, Draghi ha risposto alla pressione europea imponendo il criterio del «faremo quello che è possibile». Qualcosa si potrà fare, ma non tanto. Pertanto la spinta maggiore all’economia sarà nelle mani del settore privato che in Italia si è adattato da decenni all’inefficienza del sistema generando super-efficienza e creatività nelle fabbriche e nelle aziende di servizi. Si può sperare che gli imprenditori siano lasciati più liberi? Se Draghi riuscirà a governare nel prossimo biennio è probabile. In caso contrario non lo è, a meno che nei partiti non emerga una più intensa luce liberalizzante.

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