CRISI BANCARIE

Lo sprint dei tassi: allarme sul credito

di Antonio Troise

Sapremo presto se il salvataggio in extremis della Credit Suisse, con la vendita a Ubs (ormai certa) e la maxi-iniezione di liquidità decisa dal governo elvetico (circa 100 miliardi di euro) servirà ad allontanare dall’orizzonte una nuova tempesta finanziaria. E scopriremo anche se ha fatto bene la presidente della Bce, Christine Lagarde, a non modificare la sua rotta anti-inflazionistica, nonostante le tensioni nel mondo bancario. Cambiare idea dopo aver annunciato da giorni l’aumento dei tassi di interesse avrebbe forse causato più problemi che vantaggi, allungando sul mercato l’ombra di una crisi creditizia anche in Europa. Le vicende americane legate al fallimento della Silicon Valley Bank e quelle di Credit Suisse sono molto diverse. Da una parte c’è stato un (ingenuo?) errore di calcolo dell’istituto californiano, che aveva al passivo oltre 200 miliardi di depositi e un attivo concentrato in obbligazioni pubbliche a lungo termine e a tasso fisso. Così, quando le start up hanno cominciato a ritirare i propri depositi, la banca ha dovuto mettere in vendita titoli che, per effetto dell’aumento dei tassi, si erano svalutati. Di tutt’altra origine la crisi di Credit Suisse, che ha accumulato negli ultimi anni problemi gestionali e bilanci in rosso (nel 2022 ha perso 7,3 miliardi di franchi). Entrambe le vicende, però, hanno un denominatore comune: la stretta creditizia dopo un lungo periodo in cui le banche centrali hanno invaso di liquidità il sistema per combattere la recessione, inducendo gli operatori a indebitarsi.
Quando, per effetto dell'inflazione, il trend si è invertito, l'aumentotroppo rapido dei tassi di interesse in un contesto di debiti altrettanto elevati ha creato seri problemi. Non siamo certo alla crisi dei mutui subprime del 2008. Il sistema finanziario, da allora, ha fatto molti passi in avanti, nonostante l'improvvido allentamento di alcune regole deciso durante l'era Trump. E, soprattutto in Europa, le banche hanno livelli molto solidi di capitalizzazione. Resta da chiedersi, però, se di fronte alla bufera finanziaria degli ultimi giorni, alimentata anche dalla speculazione, sia ancora sano e utile continuare sulla strada dell'aumento dei tassi. Negli Stati Uniti, nelle ultime ore, sembra che la Fed stia riflettendo su una possibile pausa nella strategia che dovrebbe portare presto il costo del denaro al 5%. Vedremo se anche la Bce farà altrettanto. Ma è inutile coltivare facili illusioni. Ancora una volta emergono, con estrema chiarezza, non solo i limiti di un sistema regolatorio insufficiente a fronteggiare le crisi. Ma anche la mancanza di quella Unione Bancaria che, in Europa, viene proclamata da anni e mai attuata. Con la conseguenza di affidare tutto nelle mani della Bce che, da una parte, deve combattere l'inflazione e dall'altra garantire la stabilità del sistema. Due obiettivi che, come vediamo in questi giorni, possono essere irrimediabilmente in conflitto. Forse è arrivato davvero il momento di accelerare questo percorso. Per non trovarsi, come avvenne nel 2008, a chiudere inutilmente la stalla quando i buoi sono già scappati.

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