Ma chi l'ha detto che il calcio è il gioco più bello del mondo? A smontare la leggenda del

Ma chi l'ha detto che il calcio è il gioco più bello del mondo? A smontare la leggenda dello sport più popolare del pianeta arriva ora uno studio, il maggiore finora compiuto, che rivela l'inimmaginabile: dei nostri beniamini della domenica (e d'ogni giorno, ormai, fra campionati nazionali e coppe internazionali), almeno uno su tre è un idolo depresso. Incredibile, ma vero, stando alla ricerca del sindacato mondiale dei calciatori fatta su 826 giocatori ed ex di undici Paesi presi in esame, esattamente come gli undici calciatori di una squadra. La ricerca non ha però coinvolto l'Italia, il Brasile e la Germania, che pure vantano le Nazionali con più Mondiali vinti: chissà, allora, se ci siamo salvati in calcio d'angolo dall'ansia repressa e scoperta. Noi li vediamo, i giovani campioni, esultare sul campo a suon di gol e con magliette subito sfilate ed esibite come un trofeo. Li vediamo rincorrere il pallone e i sogni della loro e della nostra infanzia. Li vediamo litigare con gli avversari, con l'arbitro, con chiunque osi ostacolare l'aspirazione della squadra, che è una sola, sempre: vincere e non partecipare, in barba a quel che credeva il barone De Coubertin, troppo aristocratico per cogliere la rivincita dei giocatori del popolo allo stadio, e delle moltitudini acclamanti sugli spalti.Eppure, non è qui la festa. Nonostante la gioia di aver fatto del divertimento il lavoro della propria vita, malgrado la barca di soldi e di fama guadagnati, alla faccia dei mille-baci-mille mandati tramite telecamere durante le partite a mamme, mogli, amanti e la dolce vita che molti dei calciatori ostentano oltre le porte di casa e non solo dello stadio, un terzo di loro soffre di stress. Troppa pressione, troppi su e giù fra trionfi e sconfitte, troppi ribaltoni tra l'essere l'eroe della settimana e il colpevole della batosta subìta: non perdonano, i tifosi che ti portano sull'altare. Purtroppo non esiste un sindacato mondiale a cui affidare uno studio analogo su che cosa possano mai provare milioni di semplici ragazzi, italiani e del mondo, senza lavoro neanche come raccattapalle. E che cosa sentano le donne e gli uomini che il lavoro lo perdono a cinquant'anni. E cosa pensino gli imprenditori e i lavoratori per i quali non si mobilitano né la tv né i tifosi. Saranno anch'essi un po' stressati, oltre che in bolletta? Chi si preoccuperà dei loro sogni infranti, del loro talento calpestato, dei bellissimi gol coi quali potrebbero riempire di palloni non un campo d'erba, ma la Terra intera, se solo avessero l'opportunità di poter tirare in porta? www.federicoguiglia.com

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