L’EDITORIALE

Ma ora non si può vanificare la ripresa

di Federico Guiglia

Non siamo solo alla vigilia dell’obbligo della certificazione verde per lavorare, che scatta domani. Siamo soprattutto in vista di due traguardi di importanza capitale che si possono riassumere con la stessa parola: ripresa. Ripresa dell’economia dopo il periodo più nero. Ripresa della vita e della libertà dopo il lungo e drammatico tempo della pandemia. Vaccinazione di massa e ripartenza di tutte le attività. Oltre l’80 per cento della popolazione sopra i 12 anni ha completato le due dosi e il mondo dell’impresa e del lavoro torna a girare a pieno ritmo con prospettive di crescita valutate superiori alla media europea. La percentuale degli italiani che, pur non obbligati dalla legge, ha condiviso la strategia del governo Draghi (legare vaccino e lavoro), è fra le più alte di tutti i Paesi. Più di 40 milioni di cittadini si sono messi liberamente in coda per immunizzarsi e ora guardano alla ripresa che è stata resa possibile anche dal loro civismo: hanno pensato all’interesse degli altri e dell’Italia, non solo a meglio difendere la propria salute. Ma, arrivati fin qui, guai a cedere per accontentare chi urla il no a tutto. Protestare, senza violenza, è un diritto inalienabile. Ma sarebbe incomprensibile se lo Stato, cioè noi contribuenti, pagasse i tamponi a chi rifiuta e si rifiuta di vaccinarsi gratuitamente. Bisogna fare di tutto per non compromettere la ripresa in atto e risolvere le difficoltà tecniche e burocratiche per le aziende, degli uffici pubblici e del trasporto. Senza, però, derogare al principio fatto valere dalla grande maggioranza degli italiani.

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