ALLO SPECCHIO

Meloni e Schlein due donne due italie

di Federico Guiglia

Se la mano destra stringe la mano sinistra, se «il» presidente del Consiglio incontra «la» leader del Pd, insomma se le opposte in tutto finalmente si parlano per parlare di riforme, l’evento va oltre il primo faccia a faccia Giorgia Meloni - Elly Schlein: vuol dire che, nonostante tutto, la politica italiana ha compreso che l’avversario - anche se irriducibile - non deve diventare mai un mortale nemico. E che se oggi a Palazzo Chigi è il turno dei Fratelli d’Italia per interposta sorella Giorgia, domani potrà esserlo (o meglio: tornare a esserlo) per il principale partito dell’attuale opposizione, guidato da Elly dal 12 marzo: il suo «nuovo» Partito democratico. Sul tema del contendere, il presidenzialismo, le due principali signore della politica nazionale sono sempre distinte nonché distanti. Per Giorgia Meloni far eleggere direttamente dagli italiani il capo dello Stato significa rompere l’ultimo e longevo tabù del Palazzo. Lo stesso varrebbe se l’elezione diretta interessasse il presidente del Consiglio, che Carlo Calenda e Maria Elena Boschi chiamano «sindaco d’Italia» per sottolineare la loro disponibilità a questa seconda ipotesi. I governi precedenti sono riusciti a introdurre l’elezione diretta in ogni competizione a consultazione popolare, fuorché in quella per il Quirinale. Invece, «il rispetto del voto degli italiani e la stabilità sono obiettivi irrinunciabili». Per Elly Schlein qualsiasi forma di presidenzialismo, «che non è prioritario rispetto ai ben altri problemi del Paese», spezzerebbe l’armonia della Costituzione. Serve un’altra soluzione per la durata dei governi. Senza però toccare il presidente della Repubblica, unica stabilità nell’instabilità. Tuttavia, c’è già una convergenza parallela che non è dettata soltanto dall’età delle due giovani protagoniste su fronti opposti: il dovere di dare di più la parola ai cittadini e meno potere ai partiti. Non per caso la leader del Pd propone, in alternativa, di cambiare la legge elettorale, di rafforzare l’istituto popolare dei referendum e di introdurre la sfiducia costruttiva per evitare l’andirivieni dei governi. E poi - al pari del resto delle opposizioni - chiede al governo che, se a un nuovo clima si aspira, allora si discuta anche dell’autonomia differenziata e contestata. Dal Movimento 5 stelle il leader Giuseppe Conte concede un’apertura solo sul metodo: sì a una commissione per la grande riforma, ma no a presidenzialismi. E così si chiude la prima giornata per la grande riforma. Che in realtà sarà ricordata per il primo non scontato e non banale incontro Meloni-Schlein.

Suggerimenti