A chi giova?

Non è il momento di scontri

di Antonio Troise

Forse potevamo anche risparmiarci la nuova polemica sullo sciopero generale. Senza neanche scendere sulle motivazioni giuridiche che hanno spinto l’Autorità di garanzia a dichiarare illegittima la protesta. E sulle reazioni, anche politiche, che hanno spinto Cgil e Uil a confermare la serrata, rispendendo al mittente l’invito del ministro Matteo Salvini a un incontro. In serata è scattata la precettazione dei lavoratori dei trasporti, che ha dimezzato l’astensione prevista. Con l’immediata reazione dei sindacalisti, a partire dal leader della Cgil, Maurizio Landini. Vedremo se, nelle prossime ore, prevarrà il buon senso o continuerà lo scontro. Nessuno mette in dubbio il sacrosanto diritto allo sciopero, un tassello fondamentale del nostro vivere democratico e delle relazioni fra sindacati e governo. Ma era proprio necessario far salire la tensione nel Paese in un momento così difficile? Ieri dall’Eurostat sono arrivati i segnali inequivocabili di una possibile recessione, confermando i timori annunciati poco meno di una settimana fa dall’ex premier Mario Draghi. Con una guerra praticamente in casa(Ucraina) e un’altra pronta a esplodere ancora più drammaticamente (Medio Oriente), non c’è da dormire sonni tranquilli. Certo, una buona parte del rallentamento del Pil europeo è stato determinato dalle scelte, più o meno puntuali, assunte negli ultimi mesi dalla Bce per fermare la corsa dell’inflazione. Ma una buona parte della crisi dell’economia è dettata proprio dalle incertezze del quadro globale. Una situazione che scoraggia fortemente gli investimenti. C’è di più. È vero che l’ombra delle recessione si sta allungando su quasi tutti i Paesi europei. Ma non dobbiamo dimenticare, però, che l’Italia deve fare fronte alla crisi con margini di manovra molto più esigui rispetto ai nostri diretti competitor, dettati dall’enorme debito pubblico che ci troviamo sulle spalle. Come ha spiegato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è come correre una maratona con un piede ingessato. Di fronte a questi scenari, il problema non può essere quello dello sciopero generale indetto da due delle tre organizzazioni sindacali più rappresentative. E neanche lo scontro «giuridico-politio» innescato dalla protesta. Sarebbe molto più opportuno, invece, affrontare i problemi sul tappeto, a cominciare dalle tante riforme che ancora il Paese non riesce a realizzare a causa dei freni che arrivano dalle lobbie o dagli interessi di parte. È vero che la manovra economica fa ben poco sul fronte della crescita, contiene molti capitoli discutibili e, soprattutto, non offre risposte adeguate al disagio sociale provocato dalla crisi economica ormai sempre più evidente.
Probabilmente, con le risorse a disposizione e con i vincoli imposti dall’Europa, era obiettivamente difficile fare di più. Così come è altrettanto evidente che senza nuova crescita difficilmente potremo avere nuovi margini per rilanciare investimenti e occupazione. Il tema centrale, insomma, dovrebbe essere quello di una nuova politica industriale in grado di porre l’Italia al riparo da nuove crisi finanziarie e fuori dalle secche della recessione. Tutti i temi che magari non scaldano le piazze ma che possono rilanciare gli investimenti e il lavoro.

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