IL FRONTE ENERGIA

Per l'Italia una svolta di guerra

di Antonio Troise

Non c’è solo il campo di battaglia delle città assediate dalle bombe di Putin. La guerra si combatte su molti altri fronti. E, su quello dell’energia, l’Italia è stata almeno imprudente. Per dirla con Draghi, per troppo tempo «ci siamo limitati a guardare da un’altra parte», per evitare di prendere scelte coraggiose e impopolari. Il risultato è che il conflitto ha ora messo a nudo la nostra debolezza e vulnerabilità. Un dato per tutti: oggi il 45% del gas da noi «bruciato» arriva dalla Russia; 10 anni fa era del 27%. Un bel balzo nel buio. Ma c’è di più. Abbiamo oggi un energy-mix frutto di strategie sbagliate e che è in sostanza e monocromatica. C’è in pratica solo il gas, che utilizziamo ovunque: per riscaldare le case, illuminare le città, far funzionare le industrie… Nel frattempo si sono accumulate scelte contraddittorie che oggi paghiamo a caro prezzo. Abbiamo (giustamente) abbandonato il carbone, perché troppo inquinante ma, nello stesso tempo, abbiamo evitato di aumentare la produzione dei nostri giacimenti di metano. Siamo usciti dal nucleare, ma quando ci serve energia la compriamo dai francesi, che hanno un sistema fondato proprio sull’atomo. Ci è mancato un piano energetico nazionale che avesse come obiettivo non solo di garantire il fabbisogno del Paese ma anche di renderlo meno dipendente dall'estero. Il risultato è che se Putin decidesse di chiudere i «rubinetti» del suo gas, ci troveremmo già oggi a pianificare un razionamento della domanda per evitare di trovarci nei guai nei prossimi mesi. È arrivato, insomma, il momento di mettere davvero mano alla questione energetica, con una strategia fondata su due fasi. Nell'immediato, si possono riesumare tecnologie di cui si era programmata la dismissione (come il carbone), aumentare le importazioni dai gasdotti alternativi a quelli dalla Russia e creare un sistema di stoccaggio del gas a livello europeo. Nel medio termine, si dovrebbe potenziare la rete di trasporto e approvvigionamento dal Nord (Polonia e Norvegia) e dal Sud Europa, diversificare le fonti e accelerare i progetti della cosiddetta «transizione ecologica». Quello che non possiamo fare è ignorare i problemi. Dal 1973 ad oggi abbiamo avuto tante crisi petrolifere, abbiamo vissuto perfino la stagione dell'austerity, ma non abbiamo imparato la lezione. C'è poco tempo, a questo punto, per rimediare.

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