LA SUORA UCCISA

Quegli eroi silenziosi e gli appelli inascoltati

di Gerolamo Fazzini

Se non fosse stata uccisa l’altro ieri, durante un assalto alla missione di Chipene in Mozambico, chi di noi avrebbe mai sentito parlare di suor Maria De Coppi? Una domanda che sorge spontanea quando, come nel caso dell’anziana comboniana di Vittorio Veneto, improvvisamente balzano sotto i riflettori della cronaca - loro malgrado - persone straordinarie che hanno vissuto un’intera vita nel nascondimento, ma del cui valore ci accorgiamo solo dopo. Vale per suor Maria, vale per la cinquantenne veneta Nadia de Munari, volontaria dell’Operazione Mato Grosso, ammazzata nell’aprile 2021 a Chimbote in Perù. Vale per suor Luisa Dell’Orto, religiosa lecchese delle Piccole sorelle del Vangelo, stroncata da mano assassina nel luglio scorso nella capitale di Haiti. Tutte perfette sconosciute fino al giorno del loro martirio. Sconosciute come suor Maria Concetta Esu, sarda, attiva nella Repubblica democratica del Congo, il cui nome abbiamo scoperto perché, nel 2015, dopo un viaggio in Africa, Papa Francesco la citò come esempio dei missionari italiani che donano la vita. Aveva 83 anni suor Maria De Coppi. Ben 59 li ha passati in Mozambico, Paese che aveva raggiunto per la prima volta nel 1963, prima della tormentata conquista dell’indipendenza. La sua vicenda ricorda da vicino quella di un’altra consorella: suor Teresa Paola Dalle Pezze, veronese classe 1939, giunta in Mozambico nel 1968 e uccisa in un’imboscata nel 1985. La Spoon River delle missionarie e dei missionari uccisi, insieme ai volontari laici, ci ricorda, ancora una volta, la generosità del nostro Paese. Che avrà pure mille difetti ma che, nell’ambito della solidarietà con il Sud del mondo, ha scritto pagine indimenticabili e non teme confronti con altri. Oggi, però, quest’apertura al mondo e ai suoi bisogni che tanto ha caratterizzato gli anni post-’68 e post-Concilio sembra essersi raffreddata. Se, in un tempo non lontano, quanto accadeva in Africa, America Latina e Asia ci riguardava da vicino, ora non è più così. Ed è paradossale, in tempi di globalizzazione crescente. Un esempio. Don Silvano Daldosso, «fidei donum» di Verona, da tempo alla guida di una missione nella diocesi mozambicana di Nacala e che conosceva suor Maria, da anni denuncia gli attacchi dei gruppi jihadisti. Quanti hanno raccolto il suo appello? Eppure il Mozambico è il Paese nel quale, a metà degli anni Settanta, la diplomazia italiana ha dato il meglio di sé, riuscendo - complice la decisiva azione della Comunità di Sant’Egidio - a far finire la guerra civile tra Frelimo e Renamo. Chissà se l’uccisione di suor Maria contribuirà ad allargare - almeno per un giorno - i nostri orizzonti di cittadini del mondo. Perché, è giusto, siamo preoccupati dall’emergenza scatenata dal caro gas. Ma, nel frattempo, il Pakistan è finito sott’acqua per un terzo del suo territorio e in molti altri posti nel mondo si continua a morire. Quasi sempre nel più assordante dei silenzi.

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