Quegli slogan del passato

Fanno uno strano effetto le istantanee arrivate ieri da Piazza del Popolo, con quello slogan - «Unions»- che riporta alle origini del movimento sindacale, nella notte buia della lotta di classe e del capitalismo. Nessuno può neanche lontanamente mettere in discussione la libertà di manifestare o di esprimere il proprio pensiero. Eppure c'è qualcosa di stonato nelle frasi del corteo, in quell'abbraccio - per niente scontato fino a ieri - fra i due «eterni nemici» della sinistra, la leader della Cgil, Susanna Camusso e Maurizio Landini, che dalla Fiom si appresta a fare il gran salto nella politica. Entrambi fermamente schierati contro il Jobs Act e le politiche economiche di Renzi, guardato più o meno come Cofferati o Epifani consideravano Berlusconi: un nemico di classe. Perfino il dizionario sembra ricalcare stereotipi e forme che non si vedevano da tempo. Un brusco ritorno al passato. Come se la crisi non fosse mai arrivata, se l'Italia non avesse mai rischiato di finire nel baratro del default e se centinaia di migliaia di posti di lavoro non fossero stati bruciati dalla recessione. Certo, nessuno può pensare che Renzi abbia la bacchetta magica e che le sue ricette siano le uniche possibili per uscire dalla recessione. Si sa anche che il premier ha una particolare allergia per quel metodo della «concertazione» fatto spesso di lunghi vertici fumosi e inconcludenti, bloccati dalla logica dei veti incrociati. Ma questo non può portare a considerare inutile o addirittura dannosa quella iniezione di flessibilità nel mercato del lavoro chiesta al nostro Paese non solo dall'Ue, ma da un sistema globalizzato, in cui le nostre fabbriche devono competere con quelle che si trovano a migliaia di chilometri di distanza. Così come sarebbe sbagliato ritenere ininfluente l'abolizione, parziale e graduale, dell'articolo 18 e l'introduzione della decontribuzione per i neo assunti: l'impennata di nuovi contratti che si è registrata negli ultimi due mesi non è affatto dovuta al caso. Molto resta da fare per uscire dalla crisi e recuperare il terreno perduto. Bisogna spingere ancora sulla leva delle riforme. Semplificare e ridurre la macchina amministrativa. Tagliare gli sprechi e le tasse. Ma occorre anche che tutti, dagli imprenditori ai sindacati, sappiano cambiare per affrontare quel nuovo mondo che sta uscendo dalla crisi più lunga e profonda che l'Occidente abbia conosciuto. Per questo quegli slogan e quelle bandiere, in piazza del Popolo, sembravano già vecchie. Non tanto per la volontà e la voglia di protestare contro l'esecutivo, che sono sacrosante. Ma per quel ritorno di fiamma del vecchio sindacalismo che forse, alla luce di quello che è accaduto negli ultimi otto anni, è per lo meno anacronistico.
ANTONIO TROISE

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