L’EDITORIALE

Quelle due bare bianche e il senso della vita

di Alberto Bollis
Una riflessione sulle due tragedie che hanno colpito le comunità gardesane e che in appena tre giorni hanno visto la basilica di Lonato fare da sfondo ai funerali delle due giovanissime vittime

Due bare bianche in tre giorni. Due lutti strazianti che hanno segnato comunità coese, dove tutti si conoscono e condividono momenti lieti e lutti improvvisi con la partecipazione profonda tipica di un legame familiare e amicale. Due vicende tristissime che hanno trovato un punto di congiunzione sul sagrato e sotto le arcate di una basilica, quella di Lonato, dove - per una sorte di macabra beffa del destino - quei feretri immacolati hanno attraversato, a 72 ore di distanza l’uno dall’altro, due ali di folla. La prima silente e affranta, la seconda forzatamente gioiosa, con palloncini e canti, per consumare un tentativo di immediata reazione vitale alla tragedia. Stiamo parlando di fatti che - durante la settimana appena trascorsa – si sono incisi in maniera indelebile sull’esistenza di chiunque ne sia venuto a conoscenza: l’addio a un futuro troppo pesante volontariamente perseguito dalla quindicenne Anna, lo zainetto e le lettere di saluto lasciati in cima al Sasso di Manerba; e l’inimmaginabile corpicino esanime nella piscina dei nonni della piccola Eva, due anni da compiere il giorno dopo il suo funerale, mentre a pochi metri di distanza mamma, papà, cugini e zii trascorrevano assieme una serata spensierata, tramutatasi nel giro di un secondo nel momento più orribile che mente umana possa ipotizzare.


Sono accadimenti talmente enormi da lasciare senza parole. Così è accaduto alla persona a cui avremmo voluto affidare una riflessione che desse alla platea dei nostri lettori e alla sua collettività di riferimento il senso profondo di esperienze devastanti e ravvicinate come quelle appena ricordate. Pensavamo che il parroco della basilica di Lonato, involontario e inaspettato epicentro di questo doppio terremoto emotivo, potesse spiegarci, potesse confortare i cuori, potesse accennare a un “perché”. Non se l’è sentita, ha chiesto tempo, più tempo, e lo comprendiamo: è un compito difficile, per non dire impossibile. A volte - crediamo possa essere il ragionamento inespresso del prelato lonatese - è meglio astenersi e lasciare che ognuno faccia i conti con sé stesso. Posizione rispettabile, forse anche corretta. Ma che in questo caso non ci basta.

Ci proviamo allora noi, a dire qualcosa, con i limiti di chi ha una fede laica, di chi di fronte al dolore incommensurabile dei genitori e dei parenti stretti, fa fatica ad abbandonarsi alla richiesta cattolica di fiducia sconfinata ai contorni di un disegno divino di cui non coglie l’insieme. Siamo piccoli donne e uomini, esposti ai colpi di maglio di sventure che possono calare sulle nostre gracili spalle in un qualsiasi momento. Nessuno ne è veramente al riparo e vani risultano i nostri miseri tentativi di sottrarsi alle avversità. Questa è la consapevolezza di partenza.

Ne abbiamo parlato, in redazione, tra cronisti di lungo corso avvezzi a ogni fattaccio eppure rimasti attoniti di fronte alla tragica narrazione che il destino ci ha affidato. Ne siamo stati scossi, ci siamo interrogati sul senso di tutto questo, sul senso della vita. Affermare di aver avuto la lucidità di un ragionamento che rischiara una via oscura sarebbe presuntuoso. Non abbiamo trovato né offriamo a voi che ci leggete il capo di un filo di Arianna che ci conduca indenni e sereni fuori dal labirinto della nostra esistenza. Ma ci aggrappiamo ai due dettagli che le giovani vittime delle nostre due storie hanno lasciato al momento della dipartita.

Nelle sue lettere di saluto, Anna aveva chiesto di non essere dimenticata, di venir ricordata. È un messaggio dirompente, in una società che scorda con troppa facilità, che passa oltre, che preferisce surfare sulla cresta spumeggiante e vacua dei social piuttosto che immergersi nelle profondità dell’animo. Alla timida richiesta di Anna è seguita un’ondata di solidarietà e vicinanza che ha sospinto i suoi cari, li ha sostenuti, li ha fatti sentire meno soli davanti al baratro agghiacciante di una giovanissima morte. Non verrai dimenticata, Anna. Nessuno potrà scordare la tua dolcezza disarmata e disarmante. E da questa troverà la sovrumana forza necessaria per andare avanti, per continuare a vivere giorno dopo giorno.

Eva invece era ancora troppo piccola per poter lasciarci in autonomia un pensiero compiuto, in grado di confortare i cuori lacerati di chi l’ha conosciuta. Allora ci hanno pensato i genitori, con un gesto di altruismo sconfinato e commovente. Hanno acconsentito alla donazione dei suoi preziosi organi, quei frammenti di materia pulsante attraverso i quali la loro bimba contribuirà a ridare speranza a qualche altro bambino sfortunato.

La speranza, nonostante tutto: ecco ciò che vorremmo riuscire a trasmettere attraverso queste poche righe. Non è finita, abbiamo il dovere di non abbandonarci allo sconforto. Dobbiamo farcela, dobbiamo lottare, imporci sul nostro avvilimento, guardare ancora avanti. È questo il senso della vita. 

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