IL MONITO FMI

Recessione prova di fuoco dei governi

di Francesco Morosini

Piuttosto pessimista il Fondo monetario internazionale nella sua previsione resa nota poche ore fa: ipotizza, anzi, annuncia una frenata dell’economia globale più dura del previsto e, diciamo, dell’auspicabile. Neppure l’Italia si salva; d’altronde sarebbe difficile che un’economia aperta come quella della Penisola potesse fuggire al triste clima economico che la circonda. Le cause richiamate sono ormai classiche: quasi una nuova ortodossia dello sconforto economico. Il Fmi le individua «nella crisi del costo della vita, nell’inasprimento delle condizioni finanziarie di molte aree del pianeta, nell’invasione russa dell’Ucraina». Significa che le previsioni di sviluppo economico vanno come i gamberi, all’indietro: il dato globale è di un modesto 2,7% per il 2023. Insomma, il pessimismo impera per il Fmi / Cassandra, la tristemente preveggente sacerdotessa di Apollo. Infatti, l’istituto afferma che si è alla peggiore previsione di sviluppo dalla crisi finanziaria del 2008. Pesa la decisione della Federal Reserve di spegnere l’inflazione rialzando i tassi. L’inflazione, latente da tempo negli States come ovunque, si è poi alimentata dalla massiccia spesa pubblica della Casa Bianca a sostegno della domanda. Il problema e che il rialzo dei tassi Usa per frenarla ha imposto in Europa e in altre aree del mondo a forte esposizione debitoria in dollari la loro ricorsa per evitare svalutazioni del cambio e l’esplosione del costo dell’import di materie prime. Da qui le preoccupazioni del Fmi per la stabilità finanziaria di molte aree del pianeta. Al di qua dell’Atlantico, è il caso del Regno Unito, infilatosi in un meccanismo micidiale: spesa in deficit per tagli delle tasse sognando di stimolare l’economia; ulteriore deficit per sostenere le bollette; crollo della sterlina facilitato dal rialzo dei tassi in Usa; infine, tragica contraddizione della Vecchia Signora, la Banca d’Inghilterra, tra la necessità di evitare il crac finanziario del Regno Unito e il correre dietro alla Fed e la sua volontà di lotta all’inflazione. Una schizofrenia simile al voler riempire una piscina con la pompa; e al contempo volerla svuotare con un secchio, presente pure nell’Eurozona. Italia compresa, dove la tentazione di risolvere la crisi dell’energia ricorrendo ad altro debito è alta e suicida, soprattutto se la Fed resta col piede sul freno. A parte gli shock esogeni all’economia (guerra e Sars-Cov2), l’inflazione è pure figlia di politiche monetarie ultra-espansive allora saggiamente decise dal novello Nobel dell’Economia e allora presidente della Fed Ben Bernanke dinnanzi alla crisi del 2008, al fine di garantire liquidità al mercato bancario fugando così il terrore del suo volatilizzarsi con disperate corse agli sportelli. Senza Bernanke saremmo morti; ma la cura protratta troppo a lungo ha prodotto quell’inflazione e i rischi depressivi nel combatterla che contribuiscono al pessimismo del Fmi. L’istituto ne è consapevole, ma afferma che “il costo delle strette monetarie anticipa i relativi benefici”; ovvero le considera necessarie ma da calibrare con attenzione. Forse implicito nelle sue analisi che le strette monetarie devono sgonfiare come si trattasse di “esplosioni controllate”, cioè senza un Armageddon finanziario, le bolle di mercato figlie dell’era della le politiche monetarie non-convenzionali. Quanto all’Italia, il Fmi la vede in recessione in coppia con la Germania, ma con sulle spalle un debito pubblico che la schiaccerebbe senza il momentaneo “buon cuore” (acquisti) della Bce. La sintesi politica di tutto ciò, per il Belpaese, è che i margini di manovra sono infimi. Una vera prova del fuoco per il nuovo governo. Per nessuno buone nuove.

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