Premierato

Riforme e giochi di Palazzo

di Antonio Troise

È da oltre 40 anni che, puntualmente, spunta nell’agenda dei governi, l’ipotesi della «grande riforma» costituzionale. Aveva cominciato a parlarne addirittura il leader del Psi, Bettino Craxi, nel pieno della Prima Repubblica. Ora, nel programma di Giorgia Meloni c’è l’obiettivo di portare il Paese verso la cosiddetta «Terza Repubblica», con un premier eletto direttamente dal popolo e con una riforma che «garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Una riforma che consenta all’Italia di passare da una “democrazia interloquente” a una “democrazia decidente”». È vero che la nostra Carta costituzionale ha da tempo bisogno di qualche intervento di manutenzione. Non a caso, nell’orizzonte delle riforme c’è anche quella dell’autonomia differenziata, il grande progetto di federalismo che dovrebbe garantire maggiori poteri alle Regioni e che è previsto da almeno vent’anni. Ma sarebbe opportuno che, almeno materie come queste, fossero slegate dagli orizzonti di breve periodo dei partiti, lontane dai «giochi di Palazzo» oppure, ancora, dalle dinamiche interne della coalizione di maggioranza. Senza considerare, poi, un altro aspetto, non secondario.
Ci sono, infatti, riforme che, almeno sulla carta, sono a costo zero, come quella del premierato. E altre, invece, che presentano un saldo piuttosto costoso per le finanze pubbliche. È il caso del federalismo, con la devoluzione di alcuni servizi pubblici essenziali nelle mani di governatori. Un'operazione che dovrà essere fatta salvaguardando i cosiddetti «livelli essenziali delle prestazione», i Lep, garantendo parità di trattamento a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza. Un'operazione che potrebbe costare alle casse dello Stato fra il 80 e i 100 miliardi di euro e che, al momento è insostenibile per il nostro bilancio. La stessa riforma del premierato, con la creazione di un sistema «duale», ovvero con il premier eletto dal popolo e il presidente della Repubblica dal Parlamento, pur non presentando problemi dal punto di vista delle finanze pubbliche, potrebbe creare qualche scricchiolio nella complessa macchina degli equilibri fra i diversi poteri dello Stato. Così come suscita perplessità la «norma anti-ribaltoni» che di fatto limiterebbe i margini di manovra del Colle nella gestione delle crisi di governo o, ancora, la scelta dei ministri, che formalmente è oggi nelle mani del capo dello Stato.Vedremo nei prossimi giorni quale sarà l'esito del confronto interno alla maggioranza. E capiremo meglio anche il destino dell'autonomia differenziata, che la Lega vuole portare a casa entro l'anno prossimo. L'importante, però, è che le riforme siano fatte nell'interesse della collettività e, soprattutto per quella costituzionale, siano approvate e condivise dalla più ampia maggioranza parlamentare. Perché mai come in questo caso la Costituzione deve essere di tutti e non diventare l'ennesimo terreno di scontro fra i partiti. O addirittura, peggio ancora, come già avvenuto in passato, in un referendum pro oppure contro l'esecutivo.

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