LE STIME DELL’ISTAT

Su il Pil ma meglio rimanere prudenti

di Francesco Morosini

Na manciata di ore fa l’Istituto centrale di statistica ha presentato la stima del Prodotto interno lordo italiano per il terzo trimestre dell’anno. Si parla di una crescita del +0,5% (rispetto al trimestre precedente) e del +2,6% (considerando lo stesso periodo dell’anno precedente). Paradossalmente, se questi dati fossero certezze proiettabili su tutta l’Eurozona, toglierebbero il sonno ai governi. Perché, cacciato lo spaventapasseri della recessione, ma con i prezzi ancora in corsa, le Banche centrali diverrebbero ancor più risolute contro l’inflazione, facendo ciò che la politica odia di più: porre un freno al debito pubblico, rendendolo più oneroso via maggiori i tassi d’interesse. Nessun timore, però, di eccessi da parte delle Banche centrali, la cui severità sarà - se possibile - minimalista. Lo conferma il governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco. Intervenendo alla Giornata mondiale del risparmio, oltre a raffreddare facili entusiasmi sul Pil, Visco ha ricordato che la severità della Bce dovrà tenere conto dell’andamento dell’economia reale. Perché secondo il governatore di BankItalia, se fosse peggiore del desiderato, «un passo eccessivamente rapido nella normalizzazione dei tassi ufficiali» sarebbe «sproporzionato». Insomma, il governo può sperare che l’Eurotower continui a sostenere il nostro debito pubblico, a patto tuttavia che sia prudente in materia di finanza pubblica. D’altronde, la crescita decelera pure in Eurozona e sconsiglia inutili e pericolosi azzardi. Eppur si muove, verrebbe da dire con l’Istat. Opportuno allora guardare alle cifre, dalle quali emerge la performance dei servizi che «salvano» il risultato positivo. Merito del turismo, che corre con la possibilità che il bel tempo prolungato e le temperature miti in autunno proiettino i dati positivi sull’ultimo trimestre del 2022. Viceversa mancano all’appuntamento l’agricoltura, la silvicultura, la pesca e l’industria. Tiene invece la domanda interna, ma soffre quella estera affaticando il nostro export. Ragionando di domanda interna, la valutazione della sua tenuta esclude facili entusiasmi. Difatti, se durante la pandemia il risparmio degli italiani è cresciuto (in lockdown si compra poco) spingendo gli acquisti per il risparmio quasi «forzoso» accumulato ora, viceversa l’inflazione potrebbe avere effetti opposti. Quanto al futuro dell’export, c’è da mettere in conto in negativo la sofferenza del Pil della Germania. Il motivo è che lo stretto legame che la Penisola ha con la catena di produzione tedesca porta facilmente la nostra industria a soffrire per la crisi tedesca. In sintesi, le rilevazioni dell’Istat ci pongono davanti al classico dilemma del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Positivo di certo è che potremo evitare la cosiddetta «recessione tecnica», che corrisponde a una congiuntura negativa della durata di due trimestri consecutivi. Altra buona notizia è che questa tenuta offre un po' di risorse aggiuntive al governo perché inflazione e crescita hanno gonfiato i proventi dell’Iva e alleggerito nominalmente il rapporto debito/Pil. Guai dimenticare però che questi vantaggi derivano dall’inflazione, che quello che concede ai governi debitori poi toglie ai contribuenti come tassa iniqua nei suoi effetti distributivi. Adesso la partita passa a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia e finanza (Mef): su queste basi dovranno sia correggere la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), sia impostare con il bilancio dello Stato una possibile linea di sviluppo. Naturalmente la guerra in Ucraina e la questione energia (disponibilità / prezzo) saranno fattori decisivi fuori della portata sia di Roma che di Bruxelles. Pertanto, camminiamo sul ghiaccio sottile. 

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