L’EDITORIALE

Una tragedia figlia silenziosa del vuoto

di Alberto Bollis

Un articolo di Alberto Bollis - Correvano, Salah, Irene e gli altri. Correvano via dalla cappa sotto cui ha costretto i loro anni più belli il Covid. Correvano verso Brescia, la città dove trascorrere il sabato sera, attratti dall’ancor contenuto brulichio dei bar del centro, di piazza Arnaldo, concesso dalle stringenti regole di distanziamento e del super Green pass. Avrebbero indossato la mascherina e i loro sorrisi non si sarebbero visti: poco male, basta stare assieme e divertirsi almeno un po’.

Correvano nel buio lungo quel nastro d’asfalto che invoglia a pigiare, che tante vittime ha già inghiottito. Correvano soprattutto via dalla Val Sabbia, via da casa, dopo la cena consumata assieme ai genitori, dove alle 22 le luci si spengono e i grandi vanno a letto, le poche saracinesche sono già abbassate da un pezzo e l’unico vero calore è quello del focolaio domestico familiare. Importante, essenziale. Ma insufficiente per un giovane affamato di vita, suoni, sguardi, scherzi.

Questa tragedia, che fa tremare le vene ai polsi anche del più navigato soccorritore, che lascia sgomento il più assuefatto agli orrori tra i vigili del fuoco, che provoca i brividi e rende lucidi gli occhi del più cinico cronista di nera, è figlia di un grande vuoto. Il vuoto che avvolge silenzioso le laboriose valli bresciane, dove un'allegra compagnia di ragazzi non può rassegnarsi a trascorrere ora a far nulla, dopo aver studiato o lavorato per tutta la settimana. E allora saliamo in macchina, corriamo. Sfidiamo quei cinquanta chilometri sinuosi e infidi. Siamo immortali, alla nostra età.

Lo siamo stati tutti, immortali: quando eravamo come loro e avevamo la dolce frenesia del futuro che ci scorreva nelle vene. Noi siamo fortunati: l'abbiamo scampata. Alcuni per la prudenza innata di un profondo istinto di conservazione, altri per la buona sorte che a volte assiste l'incoscienza. Ma non va sempre così bene, come purtroppo sappiamo tutti.

Salah, Irene e gli altri erano il paradigma di quel che è oggi la società. Nordafricani immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti in Italia, integrati tanto che nessuno ormai fa più caso a quei nomi tipicamente arabi, mischiati in un'unica combriccola a due ragazzi con le radici piantate più profondamente in questa terra, ma in definitiva in quello stesso campo, senza ormai distinzione. Salah, Irene e gli altri dividevano la stessa valle, la stessa voglia di evadere e le stesse aspirazioni. Sarebbero cresciuti ancora per un po' assieme, poi si sarebbero divisi rincorrendo ambizioni, un lavoro, carriere. La Nera Signora li ha invece presi tutti assieme, senza concedere loro una seconda chance.

Avremo tempo per stabilire le responsabilità di quanto è accaduto a Rezzato, in quel tratto di provinciale in leggera pendenza e con una curva che trasforma il falso rettilineo in un chilometro pericolosissimo: lo sanno bene gli automobilisti più esperti, con la patente in tasca da un bel po' e che ci passano di frequente. Non lo sapeva chi, come sembra emergere, quella tessera rosa plastificata forse neanche l'aveva.

È colpa della strada killer? Oppure solo di un sorpasso azzardato e di una velocità assurda e inutile? È colpa del destino? Noi qui tentiamo l'inverosimile: capire se la società - amministratori, imprenditori, famiglie, scuola, associazioni sportive, chiese di qualunque professione di fede - avrebbe potuto fare qualcosa di più per trattenere il sabato sera Salah, Irene e gli altri più vicino a casa, magari nel paese accanto. Se ci fosse stato lì un locale attraente, un cinema, qualcosa del genere, si sarebbero accontentati di fermarsi nelle vicinanze, evitando di affrontare quel viaggio rivelatosi senza ritorno, quella corsa frenata nella notte?

Chi e cosa potrebbe essere in grado di riempire quel vuoto da cui fuggivano ridendo e ascoltando la musica a palla? I social? L'amore? Cosa avrebbe potuto distrarli e placare l'irrefrenabile voglia di andarsene, anche a costo di infrangere le regole, anche a costo di rischiare e perdere la vita? Domande. A cui è difficile, difficilissimo, dare una risposta davvero sensata.

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