OBIETTIVO LAVORO

UN DIRITTO PER TUTTI MA ANCHE UN DOVERE

di Ernesto Auci

Che ci sia una Festa del lavoro e dei lavoratori è sacrosanto. È anche la festa della nostra Repubblica che, come tutti sanno, è fondata sul lavoro. I sindacati fanno una manifestazione e poi un grande concerto musicale proprio perché è festa e nelle feste bisogna divertirsi. Il Governo Meloni, per non essere da meno, ha programmato un Consiglio dei ministri proprio il Primo Maggio per varare alcune norme fiscali a favore dei lavoratori, insieme a riforme del sistema di avviamento al lavoro che, da indiscrezioni, dovrebbero scoraggiare coloro che vivono di sussidi, spingendoli verso la ricerca attiva di un’occupazione. Il tema del lavoro è assai complesso. Non si affronta con manifestazioni di piazza, ne’ con ritocchi parziali alle tasse e ai contributi pagati dai lavoratori a più basso reddito. Per avere una società davvero fondata sul lavoro bisogna iniziare dalla scuola. Poi bisogna creare un sistema di collocamento pubblico e privato efficiente, avere un sistema di contratti e relazioni industriali basato non sulla ideologia della lotta contro il padrone sfruttatore, ma su una collaborazione per avere maggiore produttività e poi dividere equamente i frutti del successo. In primo luogo bisogna chiarire che il lavoro è certo un «diritto», ma è anche un «dovere». Di conseguenza tutti i cittadini devono impegnarsi a portare il loro contributo al mantenimento della collettività. Invece in Italia il tasso di occupazione è circa il 60%, negli altri Paesi occidentali supera il 70%. Ciò è dovuto in parte alle donne - poche trovano lavoro -, e in parte ai giovani molti dei quali nè studiano, nè lavorano. Le responsabilità di questa situazione sono enormi e risalgono a molti anni fa. Il sistema fiscale grava essenzialmente sui lavoratori dipendenti rendendo per le imprese molto alto il costo del lavoratore e piuttosto bassa la retribuzione netta in busta paga. Poi la scuola non funziona: non ci sono istituti tecnici che preparano i giovani alle nuove tecnologie. Le imprese sono piccole e non possono offrire posti qualificati e ben retribuiti ai giovani scolarizzati, mentre non trovano manodopera di livello più basso perché i giovani e le donne non ritengono di doversi impegnare per paghe troppo basse. E i nostri laureati vanno all’estero, mentre molti posti in aziende rimangono scoperti. Le imprese più avanzate non trovano tecnici, quelle dei servizi, specie nel turismo, non sono in grado di offrire prospettive attraenti ai giovani. Siamo in una difficile situazione. Non bastano provvedimenti come quelli che il governo si appresta a varare per ridurre gli oneri sociali di circa un punto per i lavoratori con stipendi più bassi. Certo 40 o 50 euro in più al mese possono servire in un periodo di alta inflazione, ma il problema è quello di raddrizzare l’intero sistema a partire dalla formazione, passando per il mercato del lavoro(che va tolto alle Regioni) e le cosiddette politiche attive. Poi va affrontato il problema sindacale scambiando una legge sulla rappresentatività sindacale con la necessità di una maggiore flessibilità delle buste paga che devono poter essere trattate a livello aziendale. Non si sa se Meloni abbia la voglia e la forza di fare una simile rivoluzione. Nel discorso di insediamento del suo governo aveva accennato a qualcosa di simile. Ma, si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!

Suggerimenti