L'EDITORIALE

Vittorie olimpiche specchio di un Paese

di Ferdinando Camon

Guardo le Olimpiadi come guardo la Formula 1. Il mondo delle corse e quello delle auto che io posso permettermi sono separati, nulla passa dal primo al secondo. Davvero nulla? E i freni, l'accensione, i materiali della carrozzeria? La sicurezza dei piloti apre la strada alla sicurezza di noi guidatori. Il mondo della Formula 1 e il nostro mondo si toccano, e qualcosa vien trasmesso in quel contatto. La Formula 1 è progresso. Così guardo il mondo delle Olimpiadi come un altro mondo, dove gli atleti che gareggiano hanno altri corpi, imparagonabili col mio. Hanno altri muscoli, altri tendini, altro sistema nervoso. Sono diversi. Sono vincenti. Io no. Ma loro vincono oggi perché io vinca domani, loro migliorano l'uomo, perciò il loro record mi riguarda. Un italiano ha vinto i cento metri piani, è una notizia strabiliante: è una gara nella quale ci credevamo «naturalmente», «costituzionalmente» inferiori, la ritenevamo una gara per neri, africani o americani. È la gara della velocità pura, la giusta distanza, la giusta resistenza. Non era per noi. Abbiamo vinto noi. E questo cambia il nostro concetto di noi. Chi vince quella gara, segna quell'Olimpiade. Arrivare primo è un risultato che giunge dopo tante volte che sei arrivato terzo. Perciò anche le medaglie di bronzo sono importanti. Sono un buon risultato e un buon auspicio. Le Olimpiadi migliorano l'uomo in senso fisico e morale. Quando cadeva un'Olimpiade e c'era una guerra in corso, i Greci sospendevano la guerra, perché Olimpiade e guerra sono due contrari, come bene e male.

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