POLITICA

Zingaretti lascia è rebus nel PD

di Federico Guiglia

L’annuncio arriva come un fulmine, ma non a cielo sereno. Nicola Zingaretti si dimette a sorpresa dalla segreteria del Pd. «Mi vergogno che nel partito si parli solo di poltrone e di primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid», spiega il leader già al contrattacco. Che anche in politica è sempre la miglior difesa. Dunque, Zingaretti lascia o raddoppia, proprio nel senso di mollare per rilanciarsi, sperando di farsi rieleggere subito, all’Assemblea del 13 marzo? Ed evitando, così, la resa dei conti del Congresso anticipato sollecitato dai suoi avversari interni. E poi: quanto pesa l’ombra di Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia Romagna e più accreditato antagonista alla segreteria? Nell’attesa di capire come andrà a finire, o forse a ricominciare, certo è che il gesto duro e puro di Zingaretti apre e certifica la crisi a sinistra. Una crisi che viene da lontano, e che solo l’emergenza pandemica ed economica con la necessità di sostenere due anomali governi (prima il Conte 2 poi il Draghi di oggi), aveva finora ricomposto. Né la decisione di Zingaretti avrà ripercussioni sull’esecutivo: sarebbe il contrario della scelta fatta «per amore d’Italia e del partito». Si chiama fuori per mettere tutti con le spalle al muro. Da tempo il fuoco amico, che soffia dagli ex renziani e riformisti fino alla sinistra del partito, gli rimprovera passi falsi. Dal ruolo abnorme riconosciuto a Bettini, uno che non è neppure parlamentare, alla dimenticanza delle donne Pd quali ministre con Draghi. /// segue PAG.15

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