È difficile crederlo oggi per noi, che sui cosiddetti social sappiamo scatenare l’odio più rabbioso su perfetti sconosciuti che non ci hanno fatto alcun male, solo perché hanno divergenti vedute sulla sfericità della terra, su Draghi o sul nulla. Ma ci fu un tempo in cui persino dopo la battaglia più cruenta sapevamo provare una pietà sincera sulle spoglie di un nemico ucciso, custodendone il ricordo come sacro. Lo sapevano bene i nostri antenati bresciani, che dopo il sangue delle X Giornate dedicarono a un nemico, il generale austriaco Nugent colpito nell’assalto a Torrelunga, il più cristiano degli epitaffi, il perdono più fraterno: «Oltre il rogo non vive ira nemica, e nell’ospite suolo ov’io ti lascio, giuste son l’alme e la pietade antica». Era un nemico anche il tenente austriaco Toussaint De La Motte, il primo caduto della battaglia di San Martino, abbattuto nell’assalto alle avanguardie piemontesi. Da allora le sue ossa riposano sui colli storici del nostro Risorgimento, in una cappella sepolcro che la gente del posto conserva con amorevole cura. Ma ora ci passerà sopra la Tav e bisognerà spostarla. E nel bisticcio delle varie autorità non si trova un luogo decoroso per la traslazione. Forse finirà in un angolo, dimenticata, come quella perduta «pietade antica».