L'oleandro, il baobab e quelle chiese vuote

Come Paolo Conte che la scrisse e come Celentano che fece di Azzurro una «hit», quasi un inno nazionale alternativo a quello di Mameli, canteremo anche noi che «ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar». Ma non sarà più solo una canzone: sarà la realtà quotidiana, di tutti i giorni e non più soltanto di «quelle domeniche da solo». Perché i tempi in cui davvero non ci sarà più «neanche un prete» si avvicinano. Ultimo esempio nella bassa occidentale: la parrocchia di Roccafranca, per carenza di sacerdoti, sarà unificata con quelle di Ludriano, Orzivecchi, Pompiano, Gerolanuova e Zurlengo. Sei parrocchie in una, perché oggi dispongono di sette preti nel pieno delle loro funzioni, ma nel giro di poco finiranno con uno, massimo due sacerdoti, e non può esistere una parrocchia senza parroco. Ma questa è solo l’ultima di tante situazioni simili. Brescia e provincia contavano 30 anni fa su 1.100 religiosi, oggi sono 600: dimezzati in una generazione. E le poche iscrizioni al seminario ci dicono che fra 10 anni scenderemo sotto i 300, per 473 parrocchie. Crisi delle vocazioni, si dice. Ma è crisi di una civiltà, di un modo di stare al mondo: una secolarizzazione che cancella e spazza via, ma non sostituisce. Ci lascerà, forse, giusto l’oleandro e il baobab.

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