«A Comedy Central con le mie lezioni di giapponese»

Yoko Yamada: sua madre è bresciana, il padre giapponese. È arrivato in Italia per svolgere il suo lavoro di sessatore di pulcini a ChiesanuovaIl sorriso disarmante di Yoko Yamada, classe 1993La stand up comedian bresciano-giapponese in un suo pezzo
Yoko Yamada: sua madre è bresciana, il padre giapponese. È arrivato in Italia per svolgere il suo lavoro di sessatore di pulcini a ChiesanuovaIl sorriso disarmante di Yoko Yamada, classe 1993La stand up comedian bresciano-giapponese in un suo pezzo
Yoko Yamada: sua madre è bresciana, il padre giapponese. È arrivato in Italia per svolgere il suo lavoro di sessatore di pulcini a ChiesanuovaIl sorriso disarmante di Yoko Yamada, classe 1993La stand up comedian bresciano-giapponese in un suo pezzo
Yoko Yamada: sua madre è bresciana, il padre giapponese. È arrivato in Italia per svolgere il suo lavoro di sessatore di pulcini a ChiesanuovaIl sorriso disarmante di Yoko Yamada, classe 1993La stand up comedian bresciano-giapponese in un suo pezzo

La testa inclinata, lo sguardo mortificato. Dolce, scoraggiante e un po’ atteggione: «choot-tooooo». Che in italiano significa «poco», «un po’», ma in giapponese è tutto un mondo di usi-e-costumi, carattere e tradizione. «Un modo vago e indefinito per dire di no senza dire esplicitamente di no»: ritrosia orientale per il tormentone che non t’aspetti. Approda a Comedy Central e rimbalza da Sky a YouTube grazie allo spirito d’iniziativa di Yoko Yamada, che a dispetto di nome e cognome abita a Venezia ed è nata e cresciuta a Brescia. La ragazza della porta accanto che ti sorride da studentessa timida per poi affondare la lama della sua ironia come fosse la katana di suo papà samurai. Le sue «lezioni di giapponese», saggio applicato di comicità interculturale, cominciano con un biglietto da visita che è una cartolina 2.0: «Ciao, sono Yoko Yamada, vengo da Venezia ma come avrete intuito dal mio nome e dagli occhi a mandorla il mio paese d'origine è... Brescia. Io sono mezzosangue: mia madre è italiana, il mio babbo giapponese. Perciò fin da piccolina ho imparato due lingue completamente diverse: una con questi suoni molto armonici, melodici, molto fluida, l'italiano; l'altra più dura, austera, con questi suoni gutturali che quasi incutono timore: il bresciano. Per cui sono cresciuta con questo dualismo meraviglioso che mi ha reso la persona che sono oggi: bipolare». Le sue origini sono due mondi in uno, sottolinea in un altro pezzo da stand up comedian: «Mio padre viene dall’Asia, mia madre dalla Lombardia. Mi rendo conto che questa più che una biografia sia una mappa pandemica, ma sono convinta che sia la premessa giusta per puntare a una comicità... virale». Per la serie: si può scherzare su tutto, nel modo giusto. Com’è avvenuto l’incontro fra i suoi genitori? Storia lunga e interessante. Proverò a farla breve. Mio padre Yasutsugi è arrivato quarant’anni fa, ma non è stato un pioniere nel Bresciano. Lui è del ’55, mia madre Claudia Bianchetti del ’61; prima del babbo altri giapponesi erano arrivati per via di uno stabilimento di Chiesanuova, ad occuparsi di allevamento di polli. Il loro mestiere, sessatori di pulcini. In questo campo il Giappone è assolutamente all’avanguardia. La famiglia di mia madre, con 9 tra fratelli e sorelle, ha aperto le porte di casa sua al primo asiatico mai visto sul sagrato della chiesa. Grande la curiosità. Quel primo giapponese tornato in patria ha passato parola a chi doveva dargli il cambio per lavoro a Chiesanuova. Fino a quando è arrivato mio padre, che ha conosciuto i Bianchetti, «la famiglia dei giapponesi», poi mia madre Claudia. Ed eccomi qua. Una storia di accoglienza. E di fratelli. Noi siamo in tre: io, mio fratello maggiore Daigoro dell’89, mia sorella minore del 2000, anno in cui ci siamo trasferiti a Rodengo da Bovezzo, dove abitavamo prima. Ho fatto le scuole elementari in città, le medie a Rodengo, il liceo Leonardo di nuovo in città. Quando ha scoperto la vocazione per lo spettacolo? Al liceo mi è nata la passione per il teatro, ma non sapevo cosa fare da grande. A un certo punto mi son detta «beh senti, studiamo il giapponese». Non era bilingue? Anzi, trilingue, considerando l’italiano e il bresciano. No, perché mio padre aveva imparato l’italiano prima che nascessi e mia madre non sa il giapponese, quindi in casa non si parlava. Giusto poche espressioni. Dopo il liceo ho cercato un indirizzo per studiarlo: nei motori di ricerca uscivano Napoli, Bergamo e Venezia. Napoli troppo lontana, Bergamo troppo vicina a casa... Ho scelto Venezia. Mi sono trasferita nel 2012, mi sono laureata alla triennale in giapponese e come seconda lingua in cinese. Mai stata in Giappone? Nell’ultimo semestre del terzo anno sono andata con altri ragazzi a Tokyo, per studi universitari, 3 mesi e mezzo. Ho seguito corsi difficilissimi. Prima ero andata un paio di volte col babbo. Quindi 3 viaggi: uno da piccola, uno da adolescente, l’ultimo qualche anno fa. E la prima recita, invece? La classica di fine d’anno, alle elementari. Negli anni dell’università ho fatto provini per le scuole di teatro a Milano, poi ho scoperto la stand up comedy. Sono sempre stata appassionata di comicità, da YouTube a Netflix ho assorbito le influenze più diverse. Nel giugno del 2017, invitata da un’associazione di poesia a Venezia, ho portato due pezzi. Uno era un mio testo: «La mia giornata tipo». Più cabaret che stand up. Tanti elementi fantastici, poi riadattati in «una storia d’amore» in cui mi innamoro di una Barbie. La gente comunque ha riso dalla prima volta: sono piaciuta e mi son detta «Wow! Proviamo a scrivere davvero». Sui palchi del Frullatorio come all’Avogaria ha portato un’innocenza disarmante e irriverente raccontando di crisi esistenziali, colite ulcerosa e pulcini. Così è entrata a far parte del cast di Dirty Talk e così è arrivata a Comedy Central su Sky. Mi ha portato fortuna una serata di open mic. Il mio cavallo di battaglia, «essere mezzosangue», è diventato «Lezioni di giapponese». In Italia la comicità surreale dei Monty Python e l’ironia di una Mrs. Maisel non sono di massa, Ricky Gervais è tazza di tè per intenditori: i grandi numeri li fa Checco Zalone. Qualcosa cambierà? Non lo so. Sto cercando di capire anch’io in quale direzione andiamo. Chi le piace? La stand up qui è nata con Montanini e Giardina. Io ho guardato di tutto, compreso Zelig, ma il cabaret mi è sempre interessato meno. Mi sono innamorata di Daniel Sloss, James Acaster, Trevor Noah, Sebastian Maniscalco, ma anche di Amy Schumer, Sarah Silverman, Lisa Schlesinger. In Italia di Michela Giroud oltre che di Luca Ravenna e di Valerio Lundini: ho aperto serate ad entrambi, li trovo geniali. Com’è stato passare da fan a star di Comedy Central? Ero iscritta al canale si YouTube, ho fatto un provino e uno degli autori mi ha detto «Ci sei». Un sogno che si avvera. Ha un metodo? L’attore di solito ha un copione, io me lo scrivo: modi diversi di complicarsi la vita. Quando scrivo un pezzo nuovo ogni volta mi chiedo chi me l’ha fatto mare. Cercare la risata è mettersi in gioco, ma quando la risata arriva... Ne è valsa la pena. Le serate che vanno male capitano a tutti, ma sono utili: fanno capire cosa funziona davvero. Chotto era nata come una parentesi, rimodellando più volte il tutto è diventato quello che è ora. «Un po’» un tormentone. Quindi il testo comico è come un fiume che trascina ciò che trova per la strada? Beh, sì. Questo periodo ha portato la pandemia: si può giocare anche su un tema del genere? Ora come ora farlo sul serio è difficile. Come per le Torri Gemelle: adesso si può, nel 2001 sarebbe stato inopportuno. Comunque il lockdown per me è stato un’opportunità: mi ha portato a un upgrade. Sono stata contattata da un autore tv che cercava comici giovani per la webserie poi diventata Dirty Talk. Stand up comedy da casa. All’inizio io ero perplessa: la stand up ha pochi ingredienti, chi sta sul palco, il microfono e il pubblico, ma se togli il pubblico rischia di diventare un tutorial su YouTube. Eravamo io e 4 amici, 3 sardi e un genovese: la sfida di fare stand up fra le propria mura durante la quarantena ha fatto sì che prima del lockdown i contratti li firmassi io, mentre adesso ci pensa il mio agente. Se le dico «comicità», d’istinto a chi pensa? A Fantozzi. Da studiare nelle scuole. E a mr. Bean. Quando non fa stand up? Vedo show su Netflix. Da piccola ho fatto ginnastica artistica, nuoto, atletica. Ora pratico la pigrizia. Prossimo palco? In agenda ho serate a Roma e in Friuli. Paradossalmente non ho mai fatto show a Brescia: per impegni o lockdown sono sfumate date a Carmen Town e in Distilleria Molloy. Ma spero che ricapiti presto l’occasione.

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