la recensione

«Casta Diva», Gresia superba: al Grande scene di grande forza simbolica

Martina Gresia è stata una «Norma» regale e magnifica, pur avendo sostituito all’ultimo l’indisposta Lidia Fridman

È uno spettacolo splendido, raffinatissimo quello della «Norma» di Vincenzo Bellini che ieri sera ha inaugurato la nuova stagione d’opera e di balletto del Teatro Grande: allestita nelle scorse settimane a Brescia, la rappresentazione sfoggia non solo nelle voci, specialmente quelle femminili, molti punti di forza: come nelle scene e nei costumi di Tommaso Lagattolla, nei giochi di luci di Marco Giusti e soprattutto nella regìa di Elena Barbalich. Va detto anzitutto che questa rappresentazione di «Norma» è praticamente priva di quei tratti descrittivi, naturalistici che ci si potrebbe attendere: niente intricate foreste e Galli guerrieri, barbuti e primitivi, ma tutta una serie di simboli che punteggiano i quadri ideati dalla Barbalich e da Lagattolla.

Il più potente e ricorrente è sicuramente quello del cerchio, sospeso luminoso nel cielo a ricordare la luna, la casta diva, che poi tuttavia scende a circondare alcuni dei protagonisti in scena, quasi un recinto protettivo di sentimenti, di affetti; per poi diventare il disco di bronzo percosso dal segnale della rivolta. Non che manchino riferimenti a una religione ferina: il primo atto si apre ad esempio con l’uccisione di un cervo il cui sangue viene bevuto in grandi coppe dagli adepti; ma tutto si riferisce a un mondo magico, in cui la ferocia degli uomini si sposa a una natura severa, dalle cui regole non si può prescindere, come avverrà nella vicenda di Norma. La scena vede sullo sfondo un profilo di monti, tutto si muove in un gioco di specchi che moltiplicano le presenze umane in scena, i Druidi in candida veste somigliano ai gruppi di un coro greco, hanno la morbidezza nei loro panneggi di un altorilievo del Canova. Chiamati al massiccio, potente e riuscitissimo momento del «Guerra guerra» ma anche – con la scena dominata da un bagliore rosso sempre più intenso a evocare il rogo – a riavvicinare nel finale Norma e l’odiato-amato Pollione.

Magnifiche le due figure femminili principali: Martina Gresia ha sostituito all’ultimo momento l’indisposta Lidia Fridman; peccato per il soprano italo-russo ma la Gresia, già prevista nelle repliche dell’opera a Como e a Pavia, è una Norma bravissima, ieratica, quasi regina più che sacerdotessa. E strappa lunghi applausi già con «Casta Diva». E Asude Karayavuz-Adalgisa incanta per naturalezza e intensità. La loro prova insieme nel loro celebre colloquio alla fine del secondo atto è in questo senso uno dei momenti più intensi dell’intera opera, ottimamente sorretta dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta in modo eccezionalmente accurato da Alessandro Bonato, con l’apporto dietro le quinte della banda interna della «Isidoro Capitanio».

Benissimo anche l’apporto del coro, così importante nell’economia dell’opera, e delle voci maschili anche se il tenore Antonio Corianò sconta qualche durezza negli acuti nella parte iniziale della prova, acquisendo comunque via via maggiore morbidezza. A completare il cast il severo Oroveso di Alessandro Spina, Benedetta Mazzetto nella fedele Clotilde e Raffaele Feo come Flavio. Il nostro pubblico ha applaudito entusiasta questo magnifico esordio, ben conscio dell’altissima qualità proposta con coraggio dal nostro Teatro Grande. Altre realtà non fanno lo stesso: si pensi che Norma manca dalla Scala fin dal 1977, con la Caballé! •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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