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«Athena», promessa mancata: un capolavoro riuscito a metà

di Luca Canini
Gli 11 spettacolari minuti del piano sequenza iniziale e una regia da brividi non bastano per annullare l'effetto-inconsistenza dovuto alla poca attenzione riservata ai personaggi
Uno degli ultimi fotogrammi del lunghissimo piano sequenza che apre «Athena» di Romain Gavras
Uno degli ultimi fotogrammi del lunghissimo piano sequenza che apre «Athena» di Romain Gavras
Uno degli ultimi fotogrammi del lunghissimo piano sequenza che apre «Athena» di Romain Gavras
Uno degli ultimi fotogrammi del lunghissimo piano sequenza che apre «Athena» di Romain Gavras

È un gigantesco peccato che «Athena» di Romain Gavras, figlio d’arte di cotanto padre (Costa-Gavras, la firma su «Z - L’orgia del potere», «La confessione», «L’amerikano», «Missing» e via di seguito), non sia il capolavoro che avrebbe potuto essere. Una promessa mancata, una meraviglia a metà. Che nonostante la regia pirotecnica, innovativa e spettacolare (roba da far impallidire mezza Hollywood e l’altra mezza pure), nonostante la perizia da bocca spalancata nella costruzione di alcune sequenze memorabili, nonostante l’enorme potenziale sociale e politico della vicenda, nonostante le facce giuste e l’ambientazione perfetta, si perde clamorosamente per strada. Mollandoci dopo averci illusi e corteggiati; più delusi che arrabbiati mentre il film, inesorabilmente, si va sgonfiando.

Il contesto: una banlieu immaginaria

Ma andiamo con ordine. E mettiamo qualche punto fermo. Di cosa parla «Athena»? Presto detto: in una banlieue immaginaria che sa di profonda periferia parigina, la brutale uccisione di un adolescente innesca una spirale di violenza, sangue e proteste che culmina in una battaglia campale tra le forze dell’ordine e una frangia ribelle di giovani rivoltosi. Nell’occhio del ciclone una famiglia di origine algerina: quattro fratelli, compreso il ragazzo assassinato in circostanze poco chiare ma probabilmente dalla polizia (o forse no?), alle prese con il mondo che improvvisamente brucia attorno a loro ma soprattutto con le tensioni irrisolte, le frustrazioni e la disillusione di una vita da emarginati.

Una tragedia greca contemporanea

Il taglio è da tragedia greca («Athena» non a caso), con il necessario surplus di morte, strazio e dolore che accompagna ogni resa dei conti tra consanguinei che si rispetti. Già, perché da un giorno all’altro i tre fratelli sopravvissuti al primo squarcio nella realtà si ritrovano su fronti opposti, l’un contro l’altro armati mentre infuriano il male e la battaglia. E che battaglia! Gavras ci scaraventa immediatamente nel cuore dei tumulti, con un piano sequenza iniziale da 11 minuti abbondanti (!) che spalanca le porte dell’inferno sotto ai nostri piedi. Un incipit entusiasmante. La macchina da presa segue placida i passi di un soldato, si piazza al centro di un capannello di giornalisti e attende paziente che inizi la rivoluzione. È l’esplosione di una molotov a dare il ciak, con l’assalto al commissariato di polizia e la successiva fuga verso Athena seguiti praticamente in tempo reale dall’occhio del regista; che vaga per i corridoi in fiamme, sale e scende dal furgone sottratto dai rivoltosi, ci accompagna dentro la banlieue e infine, sulle ali di un drone, ci offre una panoramica dall’alto degli assediati e delle mura fortificate. Brividi. Pura estasi cinematografica da vedere e rivedere; uno dei migliori incipit ammirati di recente (e non solo di recente).

Paragoni e confronti, da Kassovitz a Mendes a «Il signore degli anelli»

Peccato però che l’estasi finisca qui. Perché se è vero che le sequenze memorabili non sono finite (più che Kassovitz e Vincent Cassel, più che «L’odio» e i suoi tanti fratellini, vengono in mente il Sam Mendes di «1917», «300» e l’assedio degli orchi a Minas Tirith in «Il signore degli anelli»), il filo rosso al quale restare aggrappati si fa sempre più sottile; una bava di seta che a un certo punto, fatalmente, si spezza. Perché Gavras e i suoi, impegnati a tenere in piedi lo spettacolo della regia con trucchi e colpi a effetto da funamboli dell’obiettivo, si dimenticano di darci almeno un paio di buoni motivi per affezionarci alla storia, ai personaggi, alla loro sofferenza. Appiattendo il contesto sullo sfondo e trasformando un film dal potenziale enorme in un giocattolone che finisce per stufare. Resta parecchio da vedere e parecchio da lodare - guardatelo se vi sta a cuore il cinema, meglio se in lingua originale -, ma più di tanto non si riesce a voler bene a Karim, Mokhtar, Abdel e alla gente di Athena. Peccato. Una promessa mancata, una meraviglia a metà.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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