LA RECENSIONE

«Il colibrì»: un battito d’ali, ma non tutto spicca il volo

di Fausto Bona
Arriva in sala l'ultimo lavoro di Francesca Archibugi
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in una scena del film
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in una scena del film
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in una scena del film
Bérénice Bejo e Pierfrancesco Favino in una scena del film

Impresa non semplice quella di mettere in scena un romanzo complesso e intrigante come «Il colibrì» di Sandro Veronesi. Forte del suo morbido, avvolgente tocco di classe nel dipingere famiglie borghesi e nevrotici intrecci familiari, Francesca Archibugi si è misurata con un magma decisamente romanzesco per fargli assumere una forma cinematografica.

E la materia ogni tanto si è ribellata, non è uscita allo scoperto e ha tenuto un profilo basso, per quanto dignitoso e non privo di mordente narrativo; tant’è che il film ha una certa presa sul pubblico, il quale finisce per appassionarsi alla vicenda del colibrì, il personaggio che vola per star fermo.

La trama

Pierfrancesco Favino è Marco Cassera, il colibrì, il bambino che essendo troppo piccolo di statura fu «allungato»; il ragazzo che si innamorò della bella vicina di casa, l’adolescente che cominciò a conoscere il disagio psichico incarnatosi in prima battuta nella sorella. Il film, complice un montaggio frenetico, è una specie di frullatore del tempo: non c’è ordine cronologico nel racconto; da un’inquadratura all’altra, i personaggi sono bambini, giovani, donne e uomini maturi, vecchi dai volti incartapecoriti. La trama è un puzzle, ma basta prenderci un po’ la mano e poi il gioco funziona, anche se talora finisce per annebbiare la forza dei sentimenti e la tragicità delle vicende.

E funziona perché gli attori, e soprattutto le attrici, sono dentro i personaggi. Favino è monumentale; Kasja Smutniak e Bérénice Bejo, Marina e Luisa, le donne di Favino, bruciano di desiderio e bellezza; Laura Morante, nel ruolo della madre di Marco, non è da meno. Infine Nanni Moretti, in veste e soprabito lungo da psicanalista: ineffabile; un film tutto suo dentro al film, canto e controcanto.

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