La recensione

«Jeanne du Barry», alla corte di Maiwenn

di Fausto Bona
Un film storico in costume, brillante e sfarzoso come da copione, dall'impianto classico. Il ritorno di Johnny Depp, deliberatamente sotto tono
Maiwenn e Johnny Depp
Maiwenn e Johnny Depp
Maiwenn e Johnny Depp
Maiwenn e Johnny Depp

È come se Maiwenn, attrice, regista, sceneggiatrice, produttrice, cantante, brillante incarnazione del coté femminile del cinema francese, avesse girato un film alla Flaubert: «Madame Du Barry c’est moi!».

In effetti «Jeanne du Barry» ha tutta l’aria di essere un’autobiografia per interposta persona e traslato periodo storico, visto che la Du Barry del titolo fu la celeberrima e trasgressiva favorita di Luigi XV. E, se come autobiografia rischierebbe di essere intimista e dimessa, il film di Maiwenn allora si traveste e assume la forma di film storico in costume, brillante e sfarzoso come da copione, così come da copione sono gli squarci rivelatori della vita segreta celata dai rigidi rituali di corte.

Ma sotto questo aspetto bisogna riconoscere che Rossellini con i suoi film didattici per la televisione, come «La presa del potere da parte di Luigi XIV», è andato più a fondo e più lontano. Evidentemente Maiwenn si è sentita partecipe, oltre che dell’intrigante bellezza, anche dell’energia, dell’anticonformismo, della passione e dell’ambizione di una donna eccezionale, e ha voluto rappresentare la sua carriera, dalle umili origini fino al ruolo di amante del re, con toni celebrativi. L’intento dal punto di vista spettacolare è perfettamente riuscito, perché il film, dall’impianto classico, è del tutto riuscito.

L’interpretazione di Maiwenn, poi, accesa, brillante e travolgente, trova il suo contrappeso in quella di Johnny Depp, deliberatamente sotto tono, quasi a voler suggerire l’apatia, i momenti di depressione di un re, chiuso nella prigione dorata della corte. Ma la Palma d’Oro per la migliore interpretazione la meriterebbe Benjamin Lavernhe, nel ruolo del factotum La Borde. 

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