IN USCITA

La forza di «Women Talking»: non solo il diritto di scegliere

di Luca Canini
Dall'8 marzo in sala il film di Sarah Polley prodotto da Frances McDormand e candidato a due premi Oscar. Un gruppo di donne di una piccola colonia religiosa è chiamato a decidere come reagire a una serie di terribili abusi sessuali: un cast straordinario per un'opera di grande impatto
Claire Foy e Rooney Mara, due delle meravigliose protagoniste del film «Women Talking» di Sarah Polley
Claire Foy e Rooney Mara, due delle meravigliose protagoniste del film «Women Talking» di Sarah Polley
Claire Foy e Rooney Mara, due delle meravigliose protagoniste del film «Women Talking» di Sarah Polley
Claire Foy e Rooney Mara, due delle meravigliose protagoniste del film «Women Talking» di Sarah Polley

Sul tappeto rosso della notte degli Oscar sfilerà da possibile (ma improbabile) rivelazione, l’unico film diretto da una donna, la canadese Sarah Polley, tra i dieci che si contenderanno la statuetta più pesante; in sala da noi invece è atteso per mercoledì 8 marzo (data scelta non a caso), in clamoroso ritardo rispetto all’uscita ufficiale (fine dicembre). «Women Talking» («Il diritto di scegliere») è uno dei titoli più chiacchierati della stagione che sta per concludersi sotto le stelle di Los Angeles (domenica 12 la cerimonia del Dolby Theatre): un po’ per l’inevitabile surplus di polemiche legate alla presunta scarsa attenzione dell’Academy nei confronti delle minoranze e della parità di genere (veniamo comunque da anni in cui Chloé Zhao, Frances McDormand e Jane Campion si sono difese alla grandissima); un po’ per il taglio ultra-militante che ha infastidito la solita marmaglia di retrogradi bercianti (che non vede l’ora di affondare i denti nell’ennesima disputa sull’aggressività ormai intollerabile, amano ripetere, del femminismo barricadero da #metoo).

Chiacchiere. Che fanno contorno e che preparano la strada al grande evento. La macchina degli Oscar funziona così dai tempi di Douglas Fairbanks. A noi però interessa il film e su «Women Talking» c’è parecchio di buono da dire. Prima però qualche coordinata. Anno: 2010. Le donne di una piccola colonia mennonita (un ramo della chiesa anabattista che predica il ritorno al cristianesimo delle origini) sono costrette a gestire le ripercussioni di una recente e sconvolgente scoperta, ovvero che gli uomini che chiamano mariti, fratelli e figli per anni si sono macchiati di una serie di violenti e vergognosi abusi sessuali. Bisogna scegliere: perdonare, restare e combattere oppure andarsene. Segue dibattito, come si diceva negli anni Settanta. Con un gruppo di delegate incaricato di raggiungere un verdetto definitivo dopo che l’elettorato tutto al femminile chiamato alle urne si è spaccato tra la seconda e la terza opzione, scartando l’ipotesi del perdono.

Dibattito che si svolge in un buio fienile, dando alle sequenze dell’accesa disputa un tono da kammerspiel para-giudiziario (viene in mente persino «La parola ai giurati» di Sidney Lumet); anche se la regista, con un’irruenza che non è facile da addomesticare, sovrappone e alterna al filone narrativo e stilistico principale alcuni flashback quasi horror (testimonianza degli esiti più orrendi degli abusi) e improvvise aperture alla Malick (o se preferite alla Chloé Zhao), tra orizzonti sconfinati e stormi di bambini. Il risultato è potente per quanto a momenti sconnesso; di grande impatto, di grande forza, capace di calamitare l’attenzione dalla prima sequenza ai titoli di coda. Merito anche di un cast semplicemente straordinario: Rooney Mara, Claire Foy e Jessie Buckley su tutte, senza dimenticare Judith Ivey, Sheila McCarthy, Michelle McLeod, August Winter e Frances McDormand, che si ritaglia un piccolo ruolo oltre a vestire i panni ben più pesanti della produttrice; perfette le protagoniste, ciascuna a modo suo, nel dare voce credibile alla rabbia, alle paure, alle frustrazioni di mogli, madri e figlie umiliate e offese nel peggiore dei modi, pronte finalmente a portare la croce della consapevolezza che ogni maschio della colonia rappresenta un’attuale o potenziale pericolo.

A meno che qualcosa non cambi nelle secolari leggi del patriarcato oscurantista che governa i rapporti sociali, nella distribuzione e nell’esercizio del potere. Certo, di tanto in tanto si ha l’impressione che il fine prenda il sopravvento sul mezzo, che ci si sia preoccupati troppo di far passare il messaggio (del maschietto buono che fa da scrivano e che deve redimere i peccati del mondo potevamo anche farne a meno). Ma resta tanto su cui riflettere. E tanto da ammirare. Magari non arriverà l’Oscar, ma non fatevelo scappare.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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