DA VEDERE

«The Whale», la prova da Oscar di un fantastico Brendan Fraser

di Luca Canini
Tra sofferenza e consapevole autodistruzione, la toccante parabola di un obeso grave che ha voltato le spalle alla vita. Non tutto convince, ma il protagonista resta nel cuore
Brendan Fraser, meraviglioso protagonista del film «The Whale» di Darren Aronofsky in sala da domani
Brendan Fraser, meraviglioso protagonista del film «The Whale» di Darren Aronofsky in sala da domani
Brendan Fraser, meraviglioso protagonista del film «The Whale» di Darren Aronofsky in sala da domani
Brendan Fraser, meraviglioso protagonista del film «The Whale» di Darren Aronofsky in sala da domani

Se n’è parlato a lungo a ridosso della presentazione veneziana. Un po’ perché il passaggio in Laguna della stellina Max, al secolo Sadie Sink, alla prima vera uscita dopo gli sfarzi di «Stranger Things», ha inevitabilmente attirato gli sguardi di un pubblico molto diverso da quello che di solito frequenta i festival comandati; e un po’ perché l’interpretazione di Brendan Fraser è stata salutata subito come uno degli eventi cinematografici della stagione, con standing ovation sui titoli di coda durata poco meno di quella di fantozziana memoria.

Se a torto o a ragione lo potrete scoprire da domani, con «The Whale» di Darren Aronofsky atteso in sala finalmente anche in Italia; sull’onda, come per «The Quiet Girl» dell’irlandese Colm Bairéad, del recente giro di nomination che ha certificato la prova notevolissima dell’ex cacciatore di mummie, inserito nella cinquina dei pretendenti all’Oscar riservato al miglior attore protagonista (se la giocherà probabilmente con il Colin Farrell di «The Banshees of Inisherin», che parte comunque da favorito); mentre la bravissima Hong Chau correrà per quella che finirà tra le mani della miglior attrice non protagonista (la terza, di nomination, se la sono meritata truccatori e parrucchieri del cast).

Brendan Fraser, dicevamo, e una prova notevolissima. Il film di Aronofsky in effetti poggia tutto sulle sue larghissime spalle. A dir poco miracolosa la trasfigurazione in Charlie, l’ex insegnante di letteratura omosessuale che dopo aver perso il compagno decide di autodistruggersi lasciandosi inghiottire dal buco nero della bulimia. Una discesa agli inferi scandita da un lento ma inesorabile aumento di peso. «The Whale», la balena del titolo, sembra uscita da un episodio di «Vite al limite» («My 600-lb Life»): ve lo ricordate il terrificante programma televisivo americano sui danni provocati dall’obesità estrema? Ecco, Charlie vive imprigionato in un corpo che non risponde più ai comandi, tra pizze da asporto, patatine, dolcetti, snack, panini iper calorici, litri di bibite zuccherate, sandwich e la ferma volontà di lasciarsi andare fino all’inevitabile epilogo.

Ad assisterlo in questa sorta di eutanasia autoindotta, l’infermiera Liz (Hong Chau), sorella del compagno suicida, che a lui è rimasta legata da un rapporto di sincera e tenera amicizia, mentre la variabile impazzita del plot è la figlia adolescente Ellie (Sadie Sink), cresciuta con la madre dopo il coming out di Charlie. È anche - se non soprattutto - uno straziante dramma famigliare «The Whale», con il prevedibile contorno di sensi di colpa, frustrazioni, rabbie covate per anni, torti impliciti, ragioni, rese dei conti. Il tutto orchestrato a meraviglia, soprattutto a livello di dialoghi e di gestione del dolore. Anche se il crescendo emotivo soffre di un evidente eccesso di schematicità, con Aronofsky e lo sceneggiatore Samuel D. Hunter che non si fanno certo problemi a fare leva sui peggiori luoghi comuni da melodramma hollywoodiano.

Ellie, ribelle e cocciuta, fuma erba, è in perenne guerra con la madre, va male a scuola, spara battutine ciniche a raffica e odia tutti; Thomas, il meno spiegabile dei quattro personaggi principali, naufragato davanti alla porta di Charlie dopo essere scappato dai genitori, ha una specie di conto aperto con una setta religiosa ma non convince fino in fondo; persino alcuni lati di Charlie potevano essere smussanti meglio, lavorando sui dettagli, sui vuoti più che sull’esplicito. Insomma, la mano non sempre è ferma, si cade spesso nel bozzettismo, nel facile facile. E anche la regia, ordinata, pulitina, si limita a tenere in riga il plot. Ma... c’è un ma. Ed è appunto la già lodata prova di Fraser, che nel finale raggiunge vette di toccante autenticità, strappando pure qualche sincera lacrima. Oscar o non Oscar, uno degli eventi cinematografici della stagione.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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