Ed Battisti, il chirurgo-caraibico «Porto la mia musica negli Usa»

di Claudio Andrizzi
Edward Richard Battisti, nella vita chirurgo estetico: è nato negli Stati Uniti ma è cresciuto in Italia
Edward Richard Battisti, nella vita chirurgo estetico: è nato negli Stati Uniti ma è cresciuto in Italia
Edward Richard Battisti, nella vita chirurgo estetico: è nato negli Stati Uniti ma è cresciuto in Italia
Edward Richard Battisti, nella vita chirurgo estetico: è nato negli Stati Uniti ma è cresciuto in Italia

Anche Brescia ha il suo medico-cantautore: un apprezzato professionista nell’ambito della chirurgia estetica che da anni porta avanti una carriera musicale parallela. Ora, il dottor Edward Richard Battisti, per tutti semplicemente Ed, è pronto per il debutto live da solista con uno show che nel 2021, Covid permettendo, dovrebbe sbarcare anche negli Usa, suo Paese d’origine. Il tutto grazie a un singolo, «Esperando Miriam», che nel 2019 ha fatto il botto. Anche oltreoceano. «Tutto è cominciato grazie a Giancarlo Prandelli, boss dell’etichetta bresciana Gne Records – racconta Ed -. Qualche anno fa ho avuto occasione di fargli ascoltare alcuni brani che avevo registrato dai fratelli Poddighe, genere latino-americano, senza alcuna aspettativa. Lui ha mandato il pezzo ad alcuni amici americani titolari di radio a Miami, che lo hanno subito richiamato chiedendogli di organizzare questo tour di circa un mesetto tra Florida e California. Poi è arrivato il Covid... ma l’opzione resta sul tavolo». Nell’attesa come si è sviluppato il progetto? Ho pubblicato un altro singolo a ottobre, «Ago lo que quiero», mentre un terzo, «Dame un Cuba Libre», è pronto ma in stand by almeno fino ad aprile. Inutile sprecare energie in un momento come questo. Ho scritto anche altri inediti e ora ho abbastanza materiale per un’ora e mezza: sto pensando di strutturare lo spettacolo con ballerine, coriste, percussioni. Una cosa nuova per me, non sono mai stato un frontman. Infatti ha iniziato come batterista... Vero, la prima batteria me la comprò mio zio a New York, dove sono nato nel 1957 prima di rientrare in Italia all’inizio degli anni ‘60, in nave, prima Napoli, poi Brescia. Negli Usa rimase questo zio a cui ero legatissimo. Avevo 13 anni quando tornai negli States a trovarlo: mi portò da Sam Ash, negozio-mito, dove rimasi incantato di fronte a questa Ludwig, stesso modello usato da Ringo Starr. Me la comprò sui due piedi. Ce l’ho ancora. Quale la prima esperienza importante? Negli anni ‘80 con i Gangsters, il primo gruppo ska italiano, fondato insieme a Diego Gu Spagnoli e al cantante Rocky Schiavone, un tornitore della Rolls Royce... facevamo cover a ritmo ska, tipo «Caravanpetrol», suonammo di spalla ai Bad Manners e a Vasco Rossi quando venne a Brescia nel 1982. L’interesse era alle stelle. Ma alla fine la cosa non ha funzionato. Ed io ormai avevo cominciato a fare il chirurgo... Ma la passione è rimasta… Da una decina di anni con i Marshmallow abbiamo lanciato La Storia del Rock, show tributo dal rockabilly all’hard anni ‘70, dall’idea di un collega, il compianto dottor Giuseppe Stefanelli, medico odotoiatra. Altra grande soddisfazione nel 2013 quando ho suonato al Pistoia Blues Festival con i One Past Midnight, con mio figlio Alessandro e Mattia Foina. Ska, rock, blues... com’è finito al genere latin? Qualche anno fa ho provato per la prima volta a scrivere dei pezzi scoprendo che i testi mi venivano con grande facilità in spagnolo, lingua che ho sempre parlato grazie a mia madre di origine argentina. Da qui sono nate scelte ritmiche che mi hanno portato in direzione di uno stile che definisco «caraibico». Ci ho messo molto impegno: anche se rimane un hobby, voglio che la mia musica abbia i crismi della professionalità. Ora spero solo che questa pandemia finisca: non vedo l’ora di vedere dove mi porterà questa nuova avventura. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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