I sogni, le colpe, la Sicilia: la versione dei Giacalone

Scappare da un ambiente rozzo, soffocante e ostaggio dell’immobilismo delle tradizioni arcaiche di una famiglia siciliana di pescivendoli per cercare l’indipendenza e inseguire un sogno al Nord. Salvo poi essere travolti da un senso di colpa che colora il quadro generale con i caratteristici toni gattopardeschi. Il desiderio di un’altra vita è quello di Alice (interpretata da Barbara Giordano), bibliotecaria e aspirante giornalista nel dramma che indossa gli abiti della commedia «Pescheria Giacalone e figli», andato in scena nella doppia tappa bresciana del Cinema Giardino di Breno e del teatro Odeon di Lumezzane. C’è lo stile pirandelliano nella scrittura e regia del siciliano, milanese di adozione, Rosario Lisma (già passato da Lumezzane con «Peperoni difficili» nel 2015-16 e «L’operazione» nel 2019), per lo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Catania e che contrappone l’ideale creativo del Nord Italia alla palude di una famiglia della provincia siciliana. La cosmopolita Milano e il sogno di essere assunta dal Corriere della Sera dopo anni di pezzi locali scritti su un blog sono l’eldorado per Alice, ingabbiata nel salotto di casa tra una madre ossessiva (interpretata da Luana Toscano), malata immaginaria in carrozzina e alla continua ricerca di attenzioni, e il fratello (che ha il volto e la voce di Luca Iacono), che ha ereditato dal padre la pescheria e si lascia convincere da ogni fake news letta sui social. L’unica speranza di «normalità» per la ragazza in fuga è l’assistente di un neurologo (interpretato da Andrea Narsi), istruito e formato nella città meneghina e trasferitosi in Sicilia, sua terra di origine, dove trova nella madre della bibliotecaria una paziente da curare. Tocca anche a lui cercare di convincere Alice, come scusa dopo essersene innamorato, che l’isola dell’accoglienza, del Sole e dei sapori siciliani è altra cosa rispetto alla fredda e frenetica Milano, dove non si ha nemmeno il tempo di guardarsi negli occhi. E allora cosa fare quando arriva la lettera da via Solferino con una proposta di assunzione e che i familiari cercano di tenerle nascosta per non farla allontanare? Sul palco si sovrappongono la riflessione sul capire se si sta facendo quello che si deve, il desiderio di «rischiare senza essere giudicati e fuggire da una realtà dove l’unico pensiero è cosa cucinare», ma anche la responsabilità alimentata dal senso di colpa di lasciare un contesto dove si è cresciuti nell’amore, anche ossessivo, che solo una famiglia può dare.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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