“ Il Festival compiva 50 anni e così si decise di invitare un nome di livello internazionale

Luigi Fertonani Krzysztof Penderecki, scomparso domenica a Cracovia a 86 anni, ha attraversato la storia del secondo Novecento lasciando un’impronta indelebile e profonda. Di impressionante vastità la sua produzione, che copre praticamente gran parte dei generi musicali: dalle opere liriche come «I diavoli di Loudun» e «Ubu Rex», alle composizioni sacre come la «Passione secondo San Luca» e il «Dies Irae»; dall’Oratorio in memoria delle vittime di Auschwitz alle otto Sinfonie, l’ultima delle quali, «Le sette porte di Gerusalemme», per soli, coro e orchestra. Ma altre sue composizioni sono caratterizzate da scelte di grande originalità nell’organico strumentale. Come nella «Polymorphia» per quarantotto strumenti ad arco e nel Preludio per fiati, percussione e contrabbassi del 1971. Senza dimenticare le partiture per orchestra jazz e le musiche cameristiche. Ma Penderecki è noto anche a un altro pubblico, quello cinematografico, per le colonne sonore di due indimenticabili film: «L’Esorcista» di William Friedkin e «Shining» di Stanley Kubrick. Ma anche la Trenodia per le vittime di Hiroshima ha fatto capolino nel film del 2006 «I figli degli uomini». IL PUBBLICO BRESCIANO ha conosciuto da vicino Penderecki perché nel 2013 il Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo l’ha chiamato al Teatro Grande per uno speciale e ampio concerto monografico, nel quale ha diretto personalmente la Beethoven Academy Orchestra con la partecipazione del solista Massimo Mercelli nell’Adagietto per flauto e orchestra d’archi, tratto dal suo Paradiso Perduto. Al maestro Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival, chiediamo come ricorda il musicista polacco in quell’occasione. Era un uomo molto semplice. Lo ricordo molto concentrato sul suo lavoro, e non solo quello di compositore ma anche quello di preparazione dell’orchestra, un complesso di strumentisti giovani ma molto preparati ai quali chiedeva grande impegno nelle lunghe prove alle quali ho tra l’altro assistito. Era un uomo religioso? Certamente, e la sua produzione lo testimonia in modo inequivocabile. Basta ricordare il suo Requiem Polacco e il suo Credo del 1998 per soli coro e orchestra. Qual è stata l’occasione per invitarlo al Teatro Grande di Brescia? Un’occasione particolare, anzi una doppia occasione: nel 2013 il nostro Festival compiva 50 anni, una ricorrenza per noi molto importante. Dunque abbiamo deciso di festeggiarla invitando a Brescia una personalità di livello internazionale come Krzysztof Penderecki, che a sua volta spegneva le ottanta candeline della sua torta di compleanno. Una vera e propria festa musicale, dunque? Sì, e ricordo ancora perfettamente il clima speciale della serata al Teatro Grande e specialmente la seconda parte del concerto che comprendeva, una dopo l’altra, tre delle sue Sinfoniette, la seconda delle quali era presentata nella versione per flauto e orchestra d’archi - realizzata dall’autore stesso - nei suoi quattro movimenti: dal Notturno allo Scherzo, dalla Serenade al Congedo finale. Penderecki fu molto legato in particolare alla figura di Papa Giovanni Paolo II: fu a lui che dedicò nel 2005 la «Chaconne» per ensemble d’archi che inserì nel Requiem Polacco del 1980. Una composizione quest’ultima che ben rappresenta l’impegno civile del compositore nel ricordare le lotte e le sofferenze del suo popolo. Il primo brano di questo Requiem è ad esempio un «Lacrimosa» che gli venne commissionato nel 1980 direttamente da Lech Walesa e da «Solidarnosc» per commemorare le vittime degli scontri nei cantieri di Danzica. Il «Dies Irae» del Requiem fu invece scritto nel 1984 per il quarantesimo anniversario della rivolta di Varsavia contro l’occupazione nazista. Giovanni Paolo II aveva invitato il compositore polacco a tenere un concerto in Vaticano già nel febbraio del 1979, quando Penderecki diresse nel suo «Paradiso perduto» inspirato a Milton l’Orchestra del Teatro alla Scala e il Coro dell’Opera di Chicago. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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