Il Risorgimento al Nuovo Eden con lo slancio di Mario Martone

di Vincenzo Spinoso
Mario Martone ieri pomeriggio a Brescia, ospite del Nuovo Eden per «Il Risorgimento nel cinema»
Mario Martone ieri pomeriggio a Brescia, ospite del Nuovo Eden per «Il Risorgimento nel cinema»
Mario Martone ieri pomeriggio a Brescia, ospite del Nuovo Eden per «Il Risorgimento nel cinema»
Mario Martone ieri pomeriggio a Brescia, ospite del Nuovo Eden per «Il Risorgimento nel cinema»

Mario Martone celebra l’ultimo appuntamento de «Il Risorgimento nel cinema», rassegna organizzata da Fondazione Brescia Musei al cinema Nuovo Eden. Con la proiezione della versione integrale di «Noi credevamo», ieri il regista napoletano ha preparato il pubblico a una discussione sulla cruda storia del periodo che ha fatto l’Italia e di come questo venga idealizzato o modellato; processi che, al contrario, non sono propri del lungometraggio, dietro il quale «non c’è alcuna inesattezza storica». Perché proprio il Risorgimento? «Sono stato catturato dalla macchina del tempo in un periodo del quale non avevo nessuna cognizione, nulla più di quello che avevo studiato a scuola in maniera generica - ha ammesso il regista -. Mi affascinavano l’Ottocento francese e inglese, quello italiano mi attirava poco. Non vedevo il film da molti anni, alla mostra di Venezia con un’edizione più breve uscimmo senza premi e con molte polemiche, fu già un miracolo riuscire a distribuire questa versione in una uscita tecnica di 30 copie. Fu poi il pubblico a prendere d’assalto le sale e a dargli una spinta incredibile». L’ambientazione ottocentesca tradisce molti riferimenti a storia e politica contemporanee: «A un certo punto sono uscito dalla sala per fumare e ho notato la scritta “Carlo Giuliani eroe”; questo mi dice molto sulla spinta che mi ha portato a fare questo film, che non è rivolto al passato, ma al presente - spiega Martone, che poi puntualizza con ironia tagliente - . Ero a Genova quando a una generazione è stato spiegato molto bene che doveva tacitarsi. Il film nasceva da domande sul presente: c’era già stato l’11 settembre, il terrorismo era un problema forte a livello internazionale. A un certo punto mi sono chiesto: è possibile che questa guerra sia stata combattuta solo con le diplomazie, o con le grandi battaglie che conosciamo? Mi sono chiesto dove fossero finiti la carne e il sangue, gli errori, le assurdità, i giovani che in quella battaglia erano nella nebbia. Quando lo sguardo si allontana, la nebbia si dirada e ci accorgiamo dove si è sbagliato. Volevo usare il cinema come macchina del tempo: tanti dialoghi vengono da lettere e testi veri, il processo a Orsini è ricostruito con gli atti originali, la lingua non è attualizzata. Volevo esplicitamente che quel passato rivivesse». Il film è stato sceneggiato con Giancarlo De Cataldo: «Volevo una persona che mi aiutasse a entrare nei documenti, il film doveva essere inattaccabile dal punto di vista storico - continua il regista -. Però parliamo del presente, della democrazia incerta, di questo processo che sembra non essere mai arrivato alla maturazione. Riportiamo dei traumi nascosti da un senso comune viziato da emozioni, se non da manipolazioni, come quella effettuata dal fascismo».•.

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